Gaetano Donizetti

(1797-1848)

La zingara

Melodramma semiserio in 2 Atti di Andrea Leone Tottola, fu rappresentato a Napoli (Teatro Nuovo) il 12 maggio del 1822

Personaggi

Argilla (Mezzosoprano), Ines (Soprano), Fernando (Tenore), Don Ranuccio Zappador (Basso), Don Sebastiano Alvarez (Basso), il duca d'Alziras (Tenore), Papaccione (Basso), Amelia (Soprano), Ghita (Soprano), Manuelitta (Soprano), Antonio Alvarez (Tenore), Sguglio (Tenore); zingari, domestici di Zappador

ATTO PRIMO

L'azione è in una città dell'Andalusia.

Interno di antico castello. La sua gran porta è in
mezzo. Da un lato magnifica scala, che conduce ad
appartamenti superiori, e dall'altro avanzi di gotica
architettura, nella base della quale è una bassa
porta di ferro, che dà ingresso ad un sotterraneo.

Scena prima
I domestici di Ranuccio si affrettano ad ornare le
mura del castello di fiori e di altri oggetti da festa;
indi Ranuccio ed Ines, infine Amelia, ed Antonio.

CORO
Dell'ospite illustre
l'arrivo si onori.
Più in là quei festoni...
(dirigendo il lavoro, e sollecitando
gli altri domestici alla esecuzione)
Più in ordin quei fiori...
Trionfi fastosa
nel centro la rosa;
le cifre a due lati...
Che flemma! Oh, scempiati!
Ben presto il lavoro
si dé terminar.
E in giorno si lieto
ogni alma giuliva
far deve gli evviva
all'Etra echeggiar!

RANUCCIO
(ad Ines)
Al piacer, che spira intorno,
deh, risponda il tuo contento:
ah! per te più bel momento
forse appresta il nume Amor.

INES
Sarò lieta, se ti piace,
ma di amor non favellarmi:
io serbar vo' quella pace,
che gustai tranquilla ognor.

RANUCCIO
Paga appien ti bramo, o figlia.

INES
(Ma non già col mio tesoro!)

RANUCCIO
Il tuo ben se ti consiglia,
non opporti al genitor.

INES
Ad amar chi mi consiglia
guerra intima a questo cor.

RANUCCIO
Ad ubbidirmi
la figlia apprenda;
a miei voleri
pronta si arrenda,
o attenda il fulmine
del mio furor.

INES
Come all'istante
ti sei cangiato!
Deh, calma l'ira
o padre amato,
Ines non merita
tanto rigor.

ANTONIO
(dalla porta di prospetto con Amelia)
Il duca di Alziras
spedito ha un espresso.

AMELIA
E come ha promesso,
il nostro castello
quest'oggi egli stesso
con nobil corteggio
verrà ad onorar.

RANUCCIO
Che venga, l'attendo
con sommo piacere.
(Mie furie! v'intendo,
nel sen voi fremete?
Si, paghe sarete,
quell'empio cadrà)

INES
(Quest'alma dolente,
confusa, smarrita,
più gioia non sente,
più pace non ha)

AMELIA, ANTONIO e CORO
che feste! che spasso!
Che bell'allegria!
Fra i brindisi, e 'l chiasso
brillar si dovrà.

RANUCCIO
Oh, qual giorno felice è a noi serbato o miei
cari! Mi è dato alfine di riabbracciare un
rispettabile amico, che, suo malgrado, hanno
da me per qualche anno allontanato le gravi
cure della carica, che lo chiama continuamente
alla corte.

ANTONIO
Il duca di Alziras profitta della breve assenza del
suo sovrano, per dimostrarti, ch'egli tornando fra
le tue braccia, non ha dimenticati giammai i soavi
lacci di amistà, che a te lo strinsero un tempo.

RANUCCIO
Sia dunque accolto con ogni pompa, e quale
a tanto uomo è dovuta.

ANTONIO
Tutto risponderà alle tue giuste premure.

RANUCCIO
Non posso dubitarne, se tu ne assumesti l'impegno,
mio caro e leale Antonio. Oh, quanto anelo i
momenti per darti prova fino a qual segno
ti ama Ranuccio! Vieni, mi fa d'uopo parlarti.

ANTONIO
Pendo da' cenni tuoi.

RANUCCIO
(Ines rientra in te stessa, e se ti cale l'amor del
padre, disponiti a rispettarne i voleri)
(esce con Antonio)

INES
E si può comandar sugli affetti? Può darsi legge
ad amore?

AMELIA
Ines? Che avete? Siete questa mattina accigliata
oltre il solito?

INES
E come no, se il padre vuol rendermi infelice...

AMELIA
Proponendovi forse la mano di Antonio?

INES
Ma che ne sai tu di ciò?

AMELIA
Mi ha egli premurato a disporvi a vantaggio di
quel giovane.

INES
Vi perdi il tempo. Ignori tu, che il mio cuore sia
di già prevenuto?

AMELIA
Pensate forse ancora a quell'incognito, che seppe
ammaliarvi là nelle montagne dell'Andalusia,
ove, affidata alla mia custodia, vi fece il padre
educare? Maledetta l'imprudenza da me commessa
nel permettervi di passeggiar sola fra le ridenti
colline, che cingevano il vostro ritiro! Guai a
voi, ed a me, se il padre penetrasse il fatale se
greto!

INES
E quando l'avrà penetrato, saprà egli essere il mio
tiranno?

AMELIA
Orsù signorina, giudizio una volta. Non mi fate
tanto la bizzarra, se non volete perdere voi stessa.
Riflettete che degno di voi non può essere
giammai un giovane sconosciuto.

INES
Come sconosciuto, se io lo conosco benissimo?

AMELIA
E chi è egli?

INES
É Fernando.

AMELIA
E poi?

INES
E null'altro. Non basta?

AMELIA
Non basta: conviene esaminare i suoi natali, il suo
stato...

INES
Queste condizioni non sono impresse nel codice
di amore.

AMELIA
Oh! oh! come vi siete sviluppata in un momento!

INES
Amelia! Non renderti tanto importuna.
(via)

AMELIA
Oh, povera me! Costei farà trovarmi in qualche
tristo cimento. Non vi è che dire! Amore è un gran
brutto diavolo, ed ha fatto girare anche a me tante
volte il cervello.
(segue Ines)

Scena seconda
Dalla porta in fondo Argilla, indi Ghita, Manuelitta
ed altri zingari.

ARGILLA
Donzelle! A penetrar
l'arcan del vostro cor;
zerbini! A disvelar
se fido è il vostro amor;
quel fervido desir,
che sospirar vi fa,
oh, vedove! A scovrir
con tutta libertà;
la zingara famosa,
Argilla la indovina:
la donna portentosa
per voi venuta è qua.
Discende in tutt'i cori
lo sguardo mio sicuro;
e il velo del futuro,
ombre per me non ha.
Mariti!... avvicinatevi,
è il labbro mio discreto;
sol vi dirò in segreto
la vostra infedeltà.
Mogli! Non dubitate,
io ben conosco il mondo;
saprò di obblio profondo
covrir la verità.
Su presto miei signori,
se il ver saper volete,
che piovano monete,
ma di oro, e in quantità.
Argilla, apprestati in questo giorno a fare vieppiù
brillare il tuo fervido ingegno, e se l'altrui credulità
ti ha finora accordato il titolo di famosa indovina,
oggi dalle tue ardite intraprese sia illusa in modo
da rispettarti, come l'oracolo del secolo.
Largo campo a te ne somministra l'arrivo
del duca di Alziras, e la protezione del padron
del castello, che ti permette di assistere alla festa.
Venite, o compagne: potete introdurvi liberamente.
Più a noi non è vietato l'accesso in tutto questo
recinto. Che cosa è? Vi veggo di trista cera?
Venite forse colle mani vuote?

GHITA
Vuotissime: spira un vento contrario, che disperde
tutti gli sforzi delle nostre furberie.

ARGILLA
Nessun merlotto?

MANUELITTA
Né merlotto, né galline.

GHITA
I merlotti sono pochissimi, e non hanno più penne
per noi. Hanno saputo prevenirci gli artigli delle
donne di città, che sono più rapaci de' nostri.

MANUELITTA
Basta comparire in piazza, e tutti si guardano di
noi. Le mamme prendono rapidamente in braccio
i bambini, si chiudono i forzieri, si caccian
via gli animali, insomma pare, che da per tutto
noi rechiamo il contagio.

GHITA
Abbiamo girato l'intero villaggio, senza guadagnare
almeno quanto basti ad estinguere il nostro appetito.

ARGILLA
Possibile! Con quei musetti, e colle astuzie tanto
a voi connaturali?

GHITA
Eppure è così: si crede poco alle zingare, e si
sanno a memoria le nostre filastrocche.

MANUELITTA
Appena si lucra una rara e bassa moneta da qualche
avido giovanetto che coglie questo pretesto per
stringermi la mano.

ARGILLA
Ma se voi volete essere zingare da dozzina! Imitate
il mio genio, e gli slanci del mio spirito
intraprendente, e sarete allora più fortunate.
Rammentatevi, che la fisonomia è il vero interprete
del core umano. Ci basti un solo sguardo per
penetrare l'altrui desiderio ed inclinazione, per
profittare di que' prestigi che l'arte somministra, e
per dare il colore di verità alla felicità dell'azzardo.
E’ questa rapida conoscenza, che ha finora
reso celebre il mio nome.

GHITA
Il cielo non è a tutti prodigo de' doni suoi.

MANUELITTA
Con tutta la tua celebrità ti assicuro, che io farei
piuttosto la dama che la zingara.

ARGILLA
Orsù spargetevi nel castello, ove sono tutti i
domestici in moto per l'imminente arrivo del duca
di Alziras, tanto amico dei castellano. Sappiate
insinuarvi, leggere nel loro core, far mostra dei
vostro talento, e rendervi così degne seguaci di
Argilla.

GHITA
Vieni sorella: facciamo girar la testa al primo, che
ci cade fra le unghie.

MANUELITTA
Misero lui! Tu colle parole, io colle occhiate...
basta: sarà schierato l'intero esercito delle nostre
astuzie, per render così contenta la nostra brava
maestra.
(si disperdono nel castello)

ARGILLA
Che sciocche! Si dolgono dei destino, e non già
della loro pigrizia. Ma viene Papaccione. Costui
è il capo de' domestici di Zappador.
La sua amicizia potrebbe giovarmi non poco.
Ho di lui saputo quanto basta per meritarmi la sua fiducia.
Si attenda all'agguato, e sia sorpresa la sua credulità
col brillante spaccio de' miei già meditati
indovini.

Scena terza
Papaccione dagli appartamenti ed Argilla in ascolto.

PAPACCIONE
"Quid est homo sine foemina?"
no scolaro maliziuso
a lo masto addimmaunò.
E raspannose il caruso
così il masto si spiegò.
"Est carofanum sfronnato,
maccabeum sine connimmo,
vuzzariellum senza rimmo,
quod non sapit cammenà."
Lo sacc'io, che da quacc'anno
faccio passo a la donnetta,
non c'è cosa, che m'alletta,
sempe friddo pe me fa.

ARGILLA
(Oh briccone! Un poco aspetta,
che a scaldarti io sono qua)
(presentandosi)
Mio grazioso grassottello!
Porgi un poco a me la mano,
volgi l'occhio ladroncello,
ch'io ti voglio indovinar.

PAPACCIONE
(Oh, che carne for'assisa!
Che boccon del sommo Giove!
Nuce vecchie, e nuce nove
me potria mo affè scontà)

ARGILLA
E così dei tuo pianeta
il destin saper non vuoi?

PAPACCIONE
Sto bedenno sta cometa,
che m'ha fatto sorzetà.

ARGILLA
Tu sei stato da ragazzo
sempre intento al ceto basso:
di cervel leggiero, e pazzo,
niente studio, ognora a spasso:
una certa Tommasina
ti fè un giorno sospirar.

PAPACCIONE
(Chesta affé ca 'nce annevina!
Col tentillo stà a parlà)

ARGILLA
Quella tua cambiamonete
seppe ordirti un brutto trucco,
e tu gonzo, e mammalucco
ti facesti corbellar.

PAPACCIONE
Lassa stà le cose antiche,
si, sì, zingara addavero,
quel ch'io tengo nel penziero,
mo m'avrisse da spiegà.

ARGILLA
lo l'ho bello e indovinato:
sei di me già innamorato,
e vorresti sul momento
la mia mano palpizzar.

PAPACCIONE
Figlia mia, si' 'no portento!
Viene a tata, fatte ccà.

ARGILLA
(Nella rete è già il babbeo,
tutto arride al mio disegno,
superar saprò l'impegno,
son gran donna in verità!)

PAPACCIONE
(No sta zingara, pe' bacco,
non bà appriesso alle galfine,
ma dell'uomene a dozzine
e sterminio sape fà)

ARGILLA
Dico, hai finito o no di stringermi la mano?

PAPACCIONE
Eh, che pressa che tiene? nuje stammo ancora
all'introduzione, e tu già vuò arrivà a lo finale?
Non ce' pensà, ca te torno lo capitale tujo tale e
Quale me l'haje affittato: che male c'è, che me ne
foje godè l'usufrutto almeno almeno pe na decina
de secole?

ARGILLA
La sai tutta davvero la furberia!

PAPACCIONE
Io la saccio tutta, e tu ne saje doje mmità,
moltiplicate pe quattomilia.
Tiene 'na calamita dintoa chist'uocchio
friccecariello e petriazzante, che già lo povero
core mio, che da quacche anno se faceva lo
fatto sujo, s'è tutto nzieme scetato, e
sbolacchianno qual pellegrino augello,
vorria posárese ncoppa a 'no ramosciello de
chist'albero fronnuto, senza pregiudizio degli
altri volatili concorrenti.

ARGILLA
Vogliamo dunque fare insieme all'amore?

PAPACCIONE
Volimmo fa l'ammore? Io già sto penzanno a la
notriccia del primo, e seconno rampollo!

ARGILLA
Le zingare sono difficili ad innamorarsi davvero:
le rende volubili la necessità di essere erranti:
eppure io mi sento per te una vera inclinazione
amorosa. Splende un astro sulla tua fronte, che
ti rende padrone di tutte le donne che a te si
appressano.

PAPACCIONE
E che ne vide mo de st'astro mio, che sta eclissato?
Quanno correvano chelle cose rosse e tonne,
che se chiammano doppie, l'astro mio veramente
luceva, comm'a 'no sole, e sa' comme correvano
le femmene a riceverne i benigni influssi?
E a forza d'influssi, e di continui flussi, e riflussi,
so restato senza lustro, e senza felusse.

ARGILLA
Ho bene io dunque indovinato, che le donne ti
hanno condotto al precipizio?

PAPACCIONE
Non c'è besuogno d'essere zingara pe' sapè che
sto; è cosa notoria lippolis et tonsoribus.

ARGILLA
Ma adesso sei qui bene impiegato?

PAPACCIONE
Vuò pazzià!! Poco ce vò, e metto carrozza: io ccà
aggio fatto ascenzi rapidissimi. Da mercante dè
baccalà, ch'era a Napole, per non dare molestia
ai miei puntualissimi debitori, penzaje de mutà
aria. Me vennette certi residui saluminosi, e per
le acque salate facette uno coppetiello a Spagna,
dove obbligato dalle mie ricchezze a tirare stoccate
pe campà, m'arremediaje scorte de sto don Ciuccio.

ARGILLA
Di don Ranuccio.

PAPACCIONE
No, de don Ciuccio, anzi ciuccissimo: ca 'mme
ce de l'arme suo maggiordomo, me tene ccà alla
custodia de ste fiaveche vecchie, addò sta stipato
no povero vecchio, e consegnato a me vita pè
bita.

ARGILLA
E chi è costui?

PAPACCIONE
E chi lo po' appurà? 'Nce sarria pena de lo cuorio,
si ce l'addimmannasse: lo poverommo me fa
tanta compassione, quanno se magna chillo piezzo
de pane niro e pesante quanto a na savorra, e se
veve chell'acqua, addò li vierme se spassano a
ballà 'no valzon.

ARGILLA
(Che sia qualche vittima di don Ranuccio? Argilla,
non ti sfugga questo rincontro per conoscere
un tale intrigo) Tornando dunque al nostro
proposito, dimmi la verità, tu vuoi essere mio con
sorte?

PAPACCIONE
Vuò se dice a li malate: ora vì! M'è benuta la
mbriana a tozzolià la porta, e non buò che la
faccio trasi dint'a la cammera de lo lietto?

ARGILLA
Quando è così, ascoltami a tanto io vengo a
renderti doppiamente felice, sappi che le stelle non
sanno celarmi i loro arcani, e mi hanno da qual
che tempo svelato, che in questo castello si
nasconde un immenso tesoro, del quale è a te
riserbato l'acquisto.

PAPACCIONE
'No tesoro! O grande eroina di tutto il ceto
zingaresco! 'No tesoro! Tu dice addavero?
E addòstà?

ARGILLA
Questo mi resta ancora a scovrire. Lascia che io
faccia le mie scoverte, e consulti nuovamente le
stelle.

PAPACCIONE
Oh, mmalora! Me faje venì a mente no suonno,
che aggio fatto stanotte!

ARGILLA
Raccontalo pure: gli alti destini si palesano tal
volta ne' sogni.

PAPACCIONE
Siente, m'aggio sonnato, ca io teneva
‘n’appuntamento, pe' ghì a parlà a lo patre de
na certa commara mia, che a Napole me soleva
stirà la biancaria. So ghiuto, e aggio trovata la
porta de lo vascio spaparanzata.

ARGILLA
Di un basso?

PAPACCIONE
Sì... pecché io so curto de gamme, e me rincresce
de saglì gradiate. Ma comme io aveva da farle
no discurso a luongo, me so nfeccato... e, oh,
metamorforsion! Che aggio visto! Lo vascio se
n'era fojuto, e 'mmece c'era no cammarone che
non feneva maje; e llà dinto chello, che non bolive
non ce trovave... frutte de dispenza, bottigliaria,
robbe de zuccaro jettate pe' terra... 'nzomma pareva la
casa de la grassa e de l'abbonnanza. Me so botato
attuorno, e n'aggio visto nisciuno, che guardava tanta
robba. Te dico la verità... l'abbesuégne 'ce steva: la
vista de tanta belle cose cellecava il mio desiderio...
aggio pensato de farme na provistella pe' 'na
quarantina d'anne. Afferro 'na scala, che steva llà e
saglio comme a 'no gatto, pe' me menà apprimmo
'ncopp'a li frutte de dispensa. Ah! nò l'avesse maje
fatto! Da dè 'mmalora so asciute tanta voce annascoste!
... Lassa! Mariuolo! Ferma! Assassino! Non te
móvere! Paffete! Tutto 'nziemo so stato menato da
copp'a la scala, e aggio fatto uno chiummo 'nterra... e
llà pò addo ne vuò, caso cepolle! Mazzate, chianette,
cauce, schiaffune... e lo corrivo mio era, ca io
abboscava, e non bedeva le mmane, e li piede, che me
vattevano; quanno tutto 'nziemo è comparsa ne bella
foretana tutta chiena d'oro e lazziette, m'ha sosuto da
terra, m'ha fatto piglià tutto chillo, che boleva io, e me
ne so tornato a la casa carreco, e co na sporta chiena de
robba la chiù squisita.

ARGILLA
Il sogno parla da se stesso: quel gran locale è il
deposito del tesoro: tanti diversi oggetti, che si sono
presentati al tuo sguardo, sono appunto le ricchezze, e
le gioie, che vi si conservano. Gl'invisibili custodi te
ne hanno contrastato il possesso, finché una donna,
che sono io, non sia giunta a fartene degno.

PAPACCIONE
E le mazzate, che aggio avute?

ARGILLA
Sono geroglifici, ornamenti della visione.

PAPACCIONE
Tu qua' geroglifice? Io pare che ancora me le sento...

ARGILLA
Non badare a queste freddure, e pensa alla tua sorte...
che però dovrai dividere con me.

PAPACCIONE
Già... comme a marito e mogliera, che avimmo da essere.

Scena quarta
Antonio e detti.

ANTONIO
Papaccione, chiede di te don Rannuccio.

PAPACCIONE
(Fuss'acciso tu e isso!)

ANTONIO
E non vieni?

PAPACCIONE
Abbiateve, ca mo me faccio acconcià 'na tiella
spertusata a sta zingara, e bengo a servì soccellenza.

ANTONIO
Egli ti vuole nel momento, presto!

PAPACCIONE
Mo! Manco la morta de súbeto è accossì esecutiva!
(Non te partì, ca mo me spiccio, e bolimmo quaglià)

ARGILLA
(Ti attenderò, va pure)

ANTONIO
Animo! Sollecita i tuoi passi...

PAPACCIONE
Ma don Antò! Eccome cca... jammoncenne. (Ora vì!
Sta' morta co le castagnelle comm'è benuto ‘ntiempo pè
guastarme li fatti miei?)

(esce con Antonio)

ARGILLA
Saprò col pretesto di rintracciare il tesoro, discendere
con Papaccione in quel sotterraneo, e scovrire chi sia
quell'infelice, ch'è là sepolto...
(Si vede smuovere una pietra dall'alto della porta
murata)
Ma chi muove la pietra di quel muro?
Si vede un braccio che lascia cadere un foglio.
Un braccio! Quella carta! Sarebbe mai? Si legga "Se il
cielo permetterà, che questo scritto sia raccolto da un
amico della giustizia, lo supplico a muoversi a
compassione di un vecchio disgraziato"
(corre al muro, e dice:)
Chiunque voi siate, assicuratevi, che il vostro foglio è
nelle mani di Argilla; che essa sarà felice se potrà
esservi utile. Mi è sembrato di ascoltare una voce
lamentevole! ... Si vada in luogo più remoto a
terminare la lettura di questo foglio, e si tenti ogni
mezzo per giovare alla umanità oppressa.
(via)

Scena quinta
Luogo sotterraneo, ove è in prigione Sebastiano
Alvarez. Sebastiano animato dalle parole di
Argilla, che poc'anzi ha sentito nel gittare il foglio,
vien fuori piuttosto lieto, e dice:

SEBASTIANO
Breve istante di pace! A che lusinghi lo straziato
mio cor? V'ha sulla terra chi geme ancora al
pianto mio? Chi sente ancor pietà di me? Donna
celeste! Sei tu che favellasti? Ah sì... prosiegui,
se già la pena mia rendi men grave, a scendermi
nel cor voce soave!
Se un lampo passaggier diè
calma al mio martir, da me
più non fuggir dolce
speranza!
Ma che spero! Qual vana
illusion mi alletta i sensi? E’ morte,
che sol mi attende... è morte,
che squallida, implacabile, e feroce
minaccia i giorni miei... figlia... nipote
agi... grandezze... ah, tutto
il destin mi rapì! Solo mi resta
di un crudele avvenir la idea funesta!
Perché non basto a frangervi o
barbare catene? Perché la mia
canizie, sa tollerarvi ancor?
Tiranno inesorabile!
Tu godi alle mie pene?
Ma trema! A prò de' miseri
v'è un Dio vendicator.
Ohimé! già oppressa è l'anima,
già langue il mio vigor! ...
Tu, cielo, a queste lagrime,
figlie del mio dolore,
disarma il tuo rigore,
abbi pietà di me!
Ottenga il tuo favore chi
sol confida in te!
Ah sì, un raggio celeste mi scintilla nel seno,
scende a ravvivar quella speme, ch'è sempre
l'ultima ad abbandonar gl'infelici. Sebastiano!
Coraggio! Fida nel cielo, china la fronte a suoi
decreti, ed attendi tranquillo il tuo destino.

Scena sesta
Papaccione, Argilla e detto.

PAPACCIONE
Tu addò te 'mpizze? Dì la verità, 'mmece de tesoro
avisse golio de farine passà no guajo? don
Zappatore appura ca ccà bascio è trasuta na
zingara, dimano sta capo mia porposa se la cucina
ammollicata a lo furno.
ARGILLA
Imbecille! Sei al fianco di Argilla, e puoi farti vincere
dal timore? Non sai, che la fortuna è amica degli
audaci?

PAPACCIONE
Oh, si è pè chesso sta signora m'ha da essere afforza
matrea, preché io so stato sempe 'na marmotta.

ARGILLA
Ma tu vuoi, o no diventare un signore? L'astro di
Venere mi dà certi indizi da farmi credere, che in una di
queste volte sotterranee siano celate le ricchezze a te
destinate, ed io, premurosa della tua sorte, ho voluto
seguirti, per assicurarmene da me stessa.

PAPACCIONE
Vi' ca sta Vennera è stata sempe 'na chelleta perniciosa,
non borria che arrivasse lo padrone mio ch'è cchiù
'nfernuso de Saturno, e 'nee facesse restà a tutte duje
comm'a mellune appise dint'a la rezza?

ARGILLA
Lascia ch'io faccia le mie diligenze, e non seccarmi di
vantaggio.

PAPACCIONE
Aggio paura ca sta diligenzia non me fa fa 'na carrera
sforzata pe l'auto munno.

ARGILLA
(Eccolo!) Ma chi è colui?

PAPACCIONE
Lo prigioniero! Che t'aggio ditto.

ARGILLA
Dorme?

PAPACCIONE
O dorme, o lo poverommo starà penzanno a li guaje
suoie.

ARGILLA
Che miro! Oh, qual portento! Vedi tu quella striscia
di luce, che folgoreggia sulla rugosa sua fronte?

PAPACCIONE
Qua striscia? Chelle so felinie, che scenneno dalla
soffitta. Argi, tu piglie ogni zaro de no cantaro l'uno!

ARGILLA
Hai ragione, miserabile! A te non è permesso
l'arcano de' Celesti.

PAPACCIONE
Tu ll'aje co l'arcaseno celeste, e io tremmo de lo
mostro turchino, che non se sazia la seta co lo
sango mio scarlato.

ARGILLA
Lo splendore a me solo visibile m'indica senza
dubbio, che quel vecchio dovrà essere il primo
istrumento della tua fortuna.

PAPACCIONE
Chillo llà? Bello strumento scordato! Si lo cielo
l'è compare non campa duje aute juorne.

ARGILLA
Io non posso dirti altro. Attendimi qui, e lascia
che da vicino lo esamini.

PAPACCIONE
Addò vaje? Vi' ca chillo non magna carne da no
secolo, e co no muorzo te potria scippà moza
varva.

ARGILLA
Fermati qui, ti replico, e lascia fare a me.
(si avvicina a Sebastiano)

PAPACCIONE
Chesta sarà asciuta da li rine de Proserpina!

ARGILLA
(Don Sebastiano Alvarez?)

SEBASTIANO
(Ah! chi mi chiama? E com'è a te noto il nome
di uno sventurato?)

ARGILLA
(Prudenza... non mostrate sorpresa ... io son
colei che ha raccolto il vostro foglio ... eccolo...
(gli mostra il foglio di soppiatto)

SEBASTIANO
(Ah sì! Ti riconosco alla voce!)

ARGILLA
(Ho profittato della sciocchezza di Papaccione per
avvicinarmi con un pretesto a voi, e per assicurarvi,
che io sola basterò a trarvi da questa prigione)

SEBASTIANO
(Oh, donna incomparabile! Ah! non son dunque
tanto infelice, se il cielo mi concede in voi il dono
di una generosa protettrice!)

PAPACCIONE
Ne! gué! oh! 'mmalora 'nzordiscela!

ARGILLA
Ti ho detto di non frastornarmi, io sto parlando
con Venere, e Mercurio.

PAPACCIONE
E mo avimmo sbagliato la facenna.

ARGILLA
Perché?

PAPACCIONE
Ca quanno sii duje cape de roba stanno aunite,
no ce po' essere mai bene per l'umanità bisognosa.

ARGILLA
Ma lasciami finire, mi fai perdere tempo con le
tue intempestive barzellette.

PAPACCIONE
E bide de te spiccià, ca a me li vierme già me
stanno concertanno 'ncuorpo 'no ballo serio,
grottesco, anacreontico.

ARGILLA
(Coraggio, don Sebastiano! Io scenderò questa
notte a sciogliere le vostre catene)

SEBASTIANO
(Con quai mezzi potrai deludere l'altrui
vigilanza?)

ARGILLA
(Non posso dirveli per ora. Fidate in me, e sappiate
che una tenera figlia non sarebbe tanto premurosa
della libertà del padre, quanto sarò io sollecita a
proccurarvi uno scampo)

SEBASTIANO
(Ah! non posso resistere a quegl'impulsi, che in
me si destano a tuoi soavi accenti! Sì... qual
padre ti stringo al seno, e da te sola spero la
libertà, che una crudele violenza mi ha rapita!)

PAPACCIONE
Gnò! Vi' comme fanno bello! Buono signò!
La zingara s'è posta d'accordo cò Mercurio.

ARGILLA
(Addio, restate lieto, ch'io vado a tutto
intraprendere per voi)

SEBASTIANO
(Basta questa sola promessa a far cessare i miei
lunghi tormenti)

ARGILLA
Andiamo Papaccione.

PAPACCIONE
Te se' spicciata? Aje appurato niente?

ARGILLA
Tutto... andiamo ti dico.

PAPACCIONE
E lo tesoro sta cca dinto?

ARGILLA
Ci sta, e non ci sta... vieni meco, e saprai tutto...

PAPACCIONE
E pecché chella focosa astregnetora? Dimme la
verità te tirassero simpatia porzì l'ottagenarie?

ARGILLA
Oh, quante domande inutili! Vieni sopra ti replico:
il tuo affare va felicemente al suo termine,
e tu sarai contento.

PAPACCIONE
E ghiammo bella mia, tu aje da essere l'anguilla
de 'sto pantano.
(via con Argilla)

SEBASTIANO
E fia vero? Saranno infranti i miei ceppi? Oh,
mia liberatrice! Il cielo, che veglia alla salvezza
degli oppressi, seconderà il tuo ingegnoso disegno.
(entra)

Amena campagna; veduta dell'esterno del castello
di Zappador.

Scena settima
Dalla campagna Fernando e Sguiglio in abiti succinti,
poi Argilla.

FERNANDO
A te nell'appressarmi
soggiorno del mio ben
già tutto divamparmi
io sento il core in sen!
Se vagheggiar mi è dato
le amate sue pupille,
appieno avventurato,
sarò felice appien.

SGUIGLIO
Signò, non v'azzardate,
signò, non ve nfeccate;
eppure trica, trica,
e ne' abbuscammo affè!

ARGILLA
Coraggio don Fernando!
(presentandosi)
Amor vi guida in porto...
vada la tema in bando,
è il ciel per voi seren.

FERNANDO
Che ascolto! E voi chi siete?

SGUIGLIO
(Simmo scopierte a ramma!)

FERNANDO
Il nome mio sapete?

SGUIGLIO
(Auzammo 'mo la gamma,
si no' so guaie, messè!)

ARGILLA
Son la consolatrice
de' cori innamorati:
son l'araba fenice
ne' casi disperati:
risorge a nuova vita
ogni amator per me.

SGUIGLIO
Ripara quanno è chesso
pe mme no caso brutto:
nel mio verzillo asciutto
la 'mbrumma fa cadè.

FERNANDO
Deli, taci!

ARGILLA
A un vile Sguiglio
tempo a pensar non è.

SGUIGLIO
Porzì sa il nome mio?

FERNANDO
Oh ciel! Che mai degg'io,
donna, pensar di te?

ARGILLA
Un essere pietoso,
un genio in me tu miri,
che a crudi tuoi martiri
quì venne a dar mercé.

FERNANDO
(Costei mi sorprende! confuso mi rende!...
fidarmi non deggio se dubito è peggio...
nel fiero conflitto di speme e timore
il povero core la calma perdè!)

SGUIGLIO
(Ca chesta è ghianara la cosa è già chiara …
ma tene 'na vocca che l'arma te 'ncrocca …
chill'uocchio 'mmalora! li core affattora …
ca Sguiglio è sguigliato, cchiù dubbio non nc'è!)

ARGILLA
(L'amìco è smarrito, il servo è stordito.
Sta l'un sospettoso, è l'altro dubbioso...
grazioso è l'istante, mi alletta, mi piace,
il povero amante è fuori di sé!)
(Essi non sanno, che ho sentito il loro discorso,
che all'alba facevano seduti nel vicin prato)

FERNANDO
Dilegua i miei dubbi, o donna, e dimmi...

ARGILLA
Cesserà à la vostra sorpresa, quando ravviserete in me
la celebre zingara, la famosa Argilla.

SGUIGLIO
Ah! vuje site la siè Petronilla?

FERNANDO
Oh, sorprendente indovina! Ed il vostro sapere è
tale...

ARGILLA
Che niente a me resta celato.

SGUIGLIO
Che bella cosa a sapé tutte le 'mbroglie del genere
umano, che non so' poche!

FERNANDO
E tu mi conosci?...

ARGILLA
Quanto me stessa. Voi siete un giovane innamorato,
che sotto mentite divise qui venite a vedere la bella
Ines.

SGUIGLIO
Saje porzi la bella Icchese? E a me pecchè me
canusce?

ARGILLA
Per uno sbarbatello, pieno di amorosi desideri, e
privo de' mezzi a soddisfarli.

SGUIGLIO
Statte zitto! Non saje ca cierte berità non sempe
se ponno dicere?

FERNANDO
Ah! se tutto ti è noto, dimmi, che fa la mia cara
Ines?

ARGILLA
Non pensa che a voi; non si occupa che della
vostra rimembranza.

FERNANDO
Oh, me felice! Io non la vidi, che due sole volte
nel suo campestre ritiro.

SGUIGLIO
Addò jèttemo a caccia, cioè… isso depenne, e io
de fiche, uva, e di altri pacifici vegetabili.

ARGILLA
E due sole volte sono state bastevoli a destare in
lei una fiamma inestinguibile?

SGUIGLIO
Dimme na cosa… e chella cammarera arraggiosa
sta ancora co' essa?

ARGILLA
Si, e n'è la vigile custode.

SGUIGLIO
Mmalora! E che mosca cavallina!

FERNANDO
Mi sarà dunque vietato di rivederla?

ARGILLA
E che sarebbe Argilla, se non le si rendesse facile una
cosa di si poco rilievo?

SGUIGLIO
Co' salute, si bona pé accessoria, e principale?

ARGILLA
Potrebbe anzi esserne questo l'opportuno momento:
son tutti fuori del castello, e solleciti a ricevere
un rispettabile amico di don Ranuccio. Entrate
in esso, aggiratevi nel maggior cortile. Io farò
colle mie astuzie discendere la vostra Ines, e fa
vellerete con essa a vostro piacere. Volete altro?

FERNANDO
Ah! tu mi rendi beato!

SGUIGLIO
E mentre lo padrone se spassa co Icchese, nujE
facimmo 'nziemo 'na zeta, facennoce 'na sciasciata
amorosa: ca a me sempre li zingare me so trasute.

ARGILLA
io non converso con micchi: m'innalzo ad artimali più
generosi.

SGUIGLIO
(Ebbiva la gallotta 'mpastata!)

ARGILLA
Escono opportunamente dal castello don Ranuccio e
il suo amico: celatevi dietro di quel cespuglio, e
guadagnate subito l'ingresso.

FERNANDO
E tu non vieni?

ARGILLA
Entrerò quando sarò sicura ch'essi si saranno
allontanati. Presto...

FERNANDO
Oh, Amore! Deh, tu seconda il mio ardente desio!

SGUIGLIO
Deh, cioncate per poco, o varre insidiatrici delle
nostre povere spalle!

Si celano dietro i cespugli, ed appena saranno usciti
don Ranuccio, ed Antonio, essi rapidamente
s'introdurranno nel castello.

Scena ottava
Don Ranuccio ed Antonio dal castello, Argilla in
ascolto.

RANUCCIO
Qui, in questo luogo potremo favellare liberamente, e
senza destar sospetto né miei domestici.

ANTONIO
Parlate pure: la mia fedeltà vi dovrebbe esser nota.

RANUCCIO
Sai pure, che per farti possessore dell'immensa fortuna
di don Sebastiano Alvarez tuo zio, io lo feci dai miei
fidi sorprendere quando egli si ritirò dall'America, e
dal mio castello non lungi da Toledo lo feci di notte
trasportare in questa signoria, ove da più anni nel
fondo d'un sotterraneo vive a tutti ignoto.

ANTONIO
Rammentatevi però, che voi mi prometteste di
rispettare la sua vita.

RANUCCIO
Dimmi ora; qual diedi risposta alla tua richiesta della
mano di mia figlia?

ANTONIO
Che questa dovrà essere il prezzo della mia cieca
dipendenza alla vostra volontà illimitata.

RANUCCIO
Ascolta dunque. Doveva il re scegliere fra suoi
distinti sudditi il più meritevole per innalzarlo alla
luminosa carica di ministro alla visita de' magistrati di
tutto il regno. Fu tanto a me nociva la invidia di
alcuni miei nemici, che mi si fece preferire il duca di
Alziras, e mi fu rapito così quel supremo comando, cui
la mia ambizione aspirava.

ANTONIO
Intesi ciò a dire.

RANUCCIO
Fu necessità allora di sopprimere il mio sdegno;
giurai però a miglior tempo vendetta, ed eccone
fortunatamente appressato il momento.

ANTONIO
Ed in qual modo?

RANUCCIO
Il duca scorre il regno nell'esercizio del suo
ministero. Avvicinandosi a queste contrade, egli ha
divisato, come sai, di trattenersi per qualche giorno
nel mio castello.

ANTONIO
Ebbene?

RANUCCIO
Ebbene alla tua mano è riserbato di compiere la mia
vendetta.

ANTONIO
Alla mia mano? E come?

Ranuccio guarda intorno, brandisce cauto un pugnale,
indi con espressione marcata dice ad Antonio:

RANUCCIO
Ecco un pugnal... su... celalo...
Giunge l'amico istante,
vicina è già la vittima
serbata al mio furor.
Allor che del silenzio
Spande la notte il velo,
scagliati a lui, sorprendilo
nel primo suo sopor.
Aprili il petto, ed avido
Cerca quell'empio cor...
A brano a bran poi strappalo,
o mio vendicator!
Ad animarti il braccio
Avrai l'averno istesso,
che alimentò represso l'antico
mio livor.
(Antonio resta dubbioso)
Ma tu vacilli! Ah, debole!
Palpiti dubbio ancor?
E ben quel ferro rendimi ...
rinunzia alla tua sorte...
d'Ines mai più consorte...
di me... va! Non sei degno...
non manca al mio disegno
più ardito esecutor.

Si sentono voci di pastori da lontano.

VOCI
Il duca! Evviva! Evviva!

RANUCCIO
Quai voci?

VOCI
(come sopra)
Oh, qual favore!
Di così grande onore
esulti ogni pastor.

RANUCCIO
Ah, vile! Ah, iniquo Antonio!

ANTONIO
(risoluto)
Vile non son... mi avrai
fido a' tuoi cenni

RANUCCIO
Abbracciami!
(con tutta l'espressione del piacere)
Sarai felice appieno:
tutte le sue delizie
già ti prepara amor.
Piacer della vendetta!
Tu scendi già in quest'alma!
Raggio d'amica calma
spero del tuo favor.
(abbraccia Antonio e parte con lui verso il
villaggio)

ARGILLA
Che intesi! Ah, mostro! E di tanti delitti puoi esser tu
capace? Trema! Il cielo ha qui mandato Argilla a
render vani i tuoi infami disegni.
(entra nel castello)

Interno del castello come prima.

Scena nona
Ines ed Amelia: poi Fernando e Sguiglio
in osservazione; indi Argilla, in fine Papaccione.

AMELIA
Ma per seguirvi, signorina, mi avete stancata in modo
da non reggermi più sulle gambe!... Se i piedi han
seguita l'istabilità de' pensieri, convien dire, che
abbiate il cervello molto stravolto.

INES
Sei pur meco crudele! Io mi lusingava di vederlo da
per tutto...

AMELIA
Chi mai?

INES
Fernando, Fernando, e chi altro?

AMELIA
Volete, o no terminarla con questo maledetto
Fernando?

FERNANDO
(Vedila… Ah! non è quella la mia Ines?)

SGUIGLIO
('Mmalora! La folleca steva aspettanno lo cacciatore!)

FERNANDO
(Ah potessi farmi vedere da lei!)

SGUIGLIO
(Ah, cano! Non te movere: aspettammo la zingara, si
nò facimmo asso e asso)

AMELIA
Orsù rientriamo nel vostro appartamento, or ora,
arriverà il duca di Alziras, e forse a vostro padre non
piacerà, che restiate in questo luogo.

FERNANDO
(Che? Il duca di Alziras! Il mio germano in questo
castello!)

SGUIGLIO
(Zizza, pe' ghionta! Mo si ca stammo tra la battaria
e la rotella a la bolognese)

INES
Che arrivi pure il duca, mi sarà anche vietato di
assistere alla festa?

FERNANDO
(ad Argilla che arriva)
(Argilla! Ah vieni Ines è là colla sua rigida custode)

ARGILLA
(Celatevi, e siate pronto a comparire al primo mio
cenno)
(si ritirano)
Salute, e prosperità a questa coppia gentile.
(presentandosi ad Ines ed Amelia)

AMELIA
Oh, lasciaci pure in pace!

INES
No Argilla, vieni anzi. Mi promettesti ieri
d'indovinare i miei casi.

AMELIA
Oh via! Guastarvi il cervello,
dando ascolto a chimere!

ARGILLA
Siete voi la sola, che non credete ad Argilla:
provatevi, e vedrete che le mie non sono chimere, ma
verità.

AMELIA
Che pazzie! Indovinar l'avvenire?

INES
Io mi contento, ch'essa mi parli del passato.

ARGILLA
Oh, questo è facile, semplicissimo.

AMELIA
Trattandosi del passato, ascoltiamo, se sai colpire al
segno.

ARGILLA
(ad Ines)
Porgetemi la vostra mano.
Vedo che avete passato gli anni della infanzia e
dell'adolescenza in una solitudine piacevole sotto
la vigilanza di una saggia donna, che si è
interessata a compartirvi la sua esperienza, la sua
bontà.

AMELIA
Oh! Indovini perfettamente! La sua esperienza, e la
sua bontà. Questo è quello, che ho fatto sempre per lei.

ARGILLA
Ah! Siete voi... che...

AMELIA
Io stessa.

INES
Prosiegui pure.

ARGILLA
Vedo un bel giovanetto che si presenta: l'amore che si
sveglia, l'amante che sparisce, e la montagna deserta
che si cangia in questo castello.

INES
Oh, cielo! Amelia! Essa sa tutto!

AMELIA
Vedi dunque, Argilla, anche la mia mano (costei mi
sorprende!)

INES
Lascia finire a me...

ARGILLA
Aspettate, dopo ritornerò a voi.

Mentre conduce Amelia in un lato a sedere colle spalle
rivolte ad Ines, fa cenno a Fernando il quale si avanza.
Ines lo vede e vola a lui. Fernando e Sguiglio
Le faranno segno che taccia, e restano fra loro a
discorrere.

ARGILLA
Sedete qui, ho bisogno di osservare la vostra
fisonomia, non già la mano. Quell'occhio mi dice, che
avete un core sensibilissimo, ma che siete stata mal
corrisposta da' vostri amanti.

AMELIA
Verissimo! Mai uno fedele, tutti ingrati e traditori!

Sguiglio vedendo da lungi Papaccione, lo mostra coi
gesti ad Argilla. Costei gli fa segno di trattenere
Amelia con qualche pretesto.

AMELIA
E così con chi parli?

ARGILLA
La signorina mi chiama, bisogna contentarla:
attendetemi un momento.

Nel punto che Argilla lascia Amelia, si presenta a costei
Sguiglio, e procura trattenerla sempre colle spalle ai
due amanti. Argilla attraversa sollecitamente la scena,
e trattiene Papaccione, nascondendo colla sua
persona i due amanti, che sono infondo.

SGUIGLIO
Non ve sia pé comanno, site vuje don Ammennela?

AMELIA
Amelia vuoi tu dire?

SGUIGLIO
Gnorzì, chesta è essa.

ARGILLA
(Allegro Papaccione! Gran cose, grandi scoverte!)

PAPACCIONE
(Ne? E fammelle sentì, consólame sto core)

AMELIA
Chi sei tu?

SGUIGLIO
Il primo paggio de lo duca Zisso…

AMELIA
Del duca di Alziras! E cosa vuoi da me?

SGUIGLIO
M'hanno ditto ca vuje site la factota de casa?

AMELIA
Ebbene?

SGUIGLIO
Io so benuto de manguardia, e ve prego pé 'no
buono alloggio ariuso, ca patesco de schianto de
core.

AMELIA
Che so io di alloggi? Dirigiti a chi ne ha l'incombenza.

SGUIGLIO
Mo! E sta mala grazia comme c'entra? Me parite 'na
luna 'nquintadecima, e non bolite fano poco de luce a
'no poverommo che bedenno i vostri arraggiati riflessi
s'ha 'ntiso tutte 'nzieme pé buje ah! 'Na magliata a lo
core?

AMELIA
Mancava quest'altro matto a darmi molestia!

SGUIGLIO
(E bi si se spicciano? E 'nfratanto tenimmo sta
mula 'nquatto!)

INES
(Ah! Come sul mattin a
primi rai del sol
spiegando l’usignol
con flebili concenti
va l'innocente ardor,

ora che a te vicin
mi veggo, o caro ben,
tutte narrarti appien
vorrei con brevi accenti
le pene del mio cor.

Ma così bei contenti
non mi concede amor)

FERNANDO
(Pace non so trovar,
cara, lontan da te.
Tutto è languore in me,
splendor non han le stelle,
natura è a me d'orror.

Mai il crudo mio penar
già cangiasi in piacer,
ora che il nume arcier
dalle tue luci belle
nuovo mi dà vigor.

Ahi! In quelle tue fiammelle
struggermi io bramo ognor!)

ARGILLA
Quando il gufo a mezza notte
canterà colla civetta,
io sollecita, e soletta
la tua porta busserò.
Ticche, tocche, ticche, to...
Zitto, e pian mi seguirai,
e in quel pozzo scenderai,
che indicarti io ben saprò.
I custodi del tesoro,
Belzebucco ed Astarotte,
di lasciarti pria quell'oro,
ti daran delle gran botte,
Papaccion, niente paura!
Brutti mostri appariranno,
sfingi, scimie, ombre, giganti,
de' gran turchi con turbanti...
Papaccion, niente paura!
Col coraggio e la bravura,
sol puoi ricco diventar.

PAPACCIONE
Quanno sento il gran duetto
tra lo gufo, e la cevetta,
io me metto a la veletta,
e il rilorgio sentarò...
Nti, riti, riti, riti, riti, riti, ntò.
Sona appena mezza notte,
tu me chiamme, e nquatto botte
dinto al puzzo scennarrò.
Comm’a ladro de campagna,
che dà ‘ncuollo a li viandante.
Assaccheo chella cuccagne,
piglio argiento, oro, e brillante,
zingarè, m'aggio paura:
Pe' Astarotte e Barnabucco
stanno ccà le spalle meje.
Non so tanto mammalucco,
signornò, ‘n’aggio paura,
lo coraggio, e la bravura
schitto ricco me po fà.

SGUIGLIO
E botame 'rifaccia
chill'uocchie siè Amè!
Ca voglio sta caccia
stirparme pe me.

AMELIA
Più smorfie non farmi,
sei matto? Va là!
Un nano di amarmi
ardir non avrà.

SGUIGLIO
Diceva si Ciommo,
lo dotto, e saputo,
a parme dell'ommo
mesura non fa.
Si tratte 'no poco
chi è sto nennillo,
ca so peccerillo
te faccio scordà.

AMELIA
Io mai con ragazzi
il tempo ho perduto;
mi è sempre piaciuto
il senno, e l'età.
Te 'l dissi, e ridico,
per me tu non fai,
va' trovati, amico,
qualche altra beltà.
Ma zitto!

Il vicino suono di pastorali istrumenti che annunzia
l'arrivo del duca, frastorna gli amanti.

ARGILLA
(Il duca arriva!)

FERNANDO
(Ohimè! Giunge il germano!)

SGUIGLIO
Ma sínteme... va chiano...
(trattenendo sempre Amelia)

PAPACCIONE
Restato s'è accossì.
(esce per dove è entrato)

AMELIA
Andimo, signorina...
(si sviluppa da Sguiglio, e sorprende i due amanti)
Che vedo! Ah! malandrina!
Ah, zingara briccona!
Così mi si canzona?
E tu giovane ardito
se qui più inoltri il piede,
vedrai cosa succede,
qual danno ti avverrà.

INES e FERNANDO
Di un'alma innamorata,
Amelia mia, pietà!

SGUIGLIO
Finiscela sta ja ja,
non bì ca so picciune?
Me pare affè 'na groja,
‘n’arma de baccalà!

AMELIA
Mi soffoga la rabbia,
mi assale il tristo umore,
partite, allontanatevi,
o adesso io dò in furore,
e allora la commedia
tragica finirà.

INES e FERNANDO
Se il fato inesorabile
si oppone al nostro amore,
mia bella fiamma, ah! serbami
il tuo costante ardore,
la morte sol dividere
il nostro cor potrà.

ARGILLA
(Fidate nella zingara,
fidate nel mio core,
non mancheranno astuzie
all'alto mio valore,
sì, questo ingegno fervido
vittoria canterà)

SGUIGLIO
(a Fernando)
E priesto mo' finiscela!
E scumpela, signore!
vi ca si vene fráteto,
ccà nasce lo rommore,
‘na chioppeta de scoppole
la sento mo assommà!

Amelia prende per mano Ines, e la conduce seco,
Fernando e Sguiglio si allontanano, ed Argilla va
a raccogliere i suoi seguaci.

Scena ultima
I domestici di Don Ranuccio precedono festivi il duca
di Alziras al di cuifianco è don Ranuccio, e don
Antonio segue il corteggio del duca. Poi Papaccione
alla testa di altri domestici, infine Argilla con
Ghita, Manuelitta, ed altri zingari.

CORO
Feste, gioie, delizie, piaceri
cacce, pranzi, spumanti bicchieri...
serva tutto a mostrar qual contento
in noi desti sì lieto momento,
come ogni alma festiva, baccante
sia superba di tanto favor!

DUCA
Basta, o amici; ah, troppo grati
sono a me quei cari accenti!
Quai soavi, e bei momenti
fa gustarmi il vostro amor!
Se mi accoglie in queste mura
amistà leale, e pura,
sarò lieto in fra i piaceri
che mi appresta il suo candor.

RANUCCIO
Si, ti accoglie in queste mura
di amistade il bel candor.

CORO
Amistà leale, e pura!
Sei la gioia di ogni cor.

PAPACCIONE
(con caricatura)
Papaccione Cincorenza,
che i doveri non attrassa,
al magnifico eccellenza
or s'inchina, e '1 capo abbassa,
e ad un uom sì diffamato
viene il maggio a presentà.
A te in faccia il sole è un zero,
è la luna una ciantella;
sei dell'orbico emisfero
la lucerna, anzi la stella:
è il tuo core un mappamondo,
quella bocca un campo Eliso,
sei bislungo, anzi rotondo,
sei più bel del grande acciso;
che... cioè... ma mi confondo...
di più dir non son capace...
al silenzio mio loquace
supplirà la tua bontà.

CORO
Ah! ah! ah!

DUCA
Grazioso in vero!

ANTONIO
Compatite, è tutto solo.

PAPACCIONE
(Del sublime mio pensiero
stanno il merto ad ammirà)

ARGILLA
Se un cor magnanimo tu chiudi in petto,
dell'umil zingara soffri l'aspetto,
che lieti annunzi t'offre, o signor.
La gioia, il giubilo ti sieda allato,
gli astri benefici, oltre l'usato,
per te scintillino di alto splendor.

GHITA e MANUELITTA
Gli astri benefici...

DUCA
Gli auguri accetto, donna gentile,
e ti prometto il mio favor.

PAPACCIONE
(Ma vi sta zingara, comme se 'nficca!
Che mutria celebre! Che franco umor!)

RANUCCIO
Là sulle stanze andiamo,
siegui i miei passi, amico.

DUCA
Guidami a tuo piacere:
son tuo seguace ognor.
Accresca il mio contento
la rimembranza amica
dell'amicizia antica,
che strinse il nostro cor.

RANUCCIO
(Oh trista rimembranza!
I torti miei rammento
e frenar posso a stento
l'ascoso mio furor)

ARGILLA
(L'alma perversa, e ria
medita un tradimento;
la vigilanza mia
farà svanirlo or or)

ANTONIO
(La trista rimembranza
più i torti suoi rammenta,
mentre amistade ostenta
più pasce il suo livor)

PAPACCIONE
(Me pareno mille anne,
che notte va scuranno,
che doppie, atta d'aguanno!
Saraggio un gran signor)

GHITA, MANUELITTA e CORO
Per voi risplenda il sole
sgombro da nembo, o velo;
benigni influssi il cielo
a voi conceda ancor.
Di lieti flauti al suono,
nel brio di sì bel giorno
gioia respiri intorno,
lungi tristezza, orror.

Tutto il corteggio si avvia agli appartamenti.
Si cala il sipario.

ATTO SECONDO

Parte remota del castello: un muro attraversa la scena:
in mezzo un cancello: a sinistra una porta ferrata:
altra porta a dritta, che per una scala segreta
conduce all'appartamento destinato al duca di
Alziras: in fondo una vecchia cisterna. É vicina
La notte.

Scena prima
S'introducono dal cancello Fernando e Sguiglio.

SGUIGLIO
E tridece! Gnorsì, la zingara, la siè Camilla, essa
proprio 'mperzona m'ha ditto, ca l'aspettate
ccà, ca v'ha da parla’ de cose toste, e pesante.

FERNANDO
Che sarà mai? Né tu hai potuto investigarne l'oggetto?

SGUIGLIO
Quà, veste de cammera, e loggetta me jate contanno?
Pe dirle schitto, zingarè? Dillo a me ca
io e lo patrone simmo una cosa, m'ha sonato 'no
scozzetto accosì secante, che m'ha fatto vedè la
luna dinto a lo puzzo.

FERNANDO
Ah! se tu mi ami, o caro, procura di rivedere
Argilla; dille, che io qui sono ad attenderla, e
Che venga presto a porre in calma il mio spirito.

SGUIGLIO
Addò 'mmalora la trovo? Chella squaglia comme
a Sautanasso; e po' non me voglio fa vedè girà
tanto dinto a sto castiello... io songo 'na figura...
benedica!... Che pe' bellezza, e rarità richiama
l'occhiate de' curiosi... avesse da essere pigliato
‘ncontrobanno?

FERNANDO
Lascia fare alla sorte.

SGUIGLIO
Accossì dicette chillo che se jettaje a mare, pe'
piglià cannolicchie, e ce restaje affocato.

FERNANDO
Vanne... ti dico!

SGUIGLIO
Non te piglià collera, ca mo jammo; tata non me
poteva ‘mparà a fà lo mercante de ragione 'mmece
de lo servitore! Lo cielo me la manna bona!
(esce per lo cancello)

Scena seconda
Fernando, indi Ines.

FERNANDO
Ines! Ines! Ah! tu sola fai obbliarmi il mio
periglio.

INES
Che sia egli partito senza più rivedermi?

FERNANDO
Oh! stelle! E non è quella Ines?

INES
Eccolo! É qui il mio Fernando...

FERNANDO
Qual fato benefico guida i tuoi passi in questo
solitario recinto?

INES
La brama di rivederti, di dirti tante cose... Amelia
mi dice che tu potresti essere uno storditello,
un giovane vagabondo.

FERNANDO
Ah! ingiusta! Non dirà più così quando saprà chi
è Fernando...

INES
Tu sei dunque degno di me?

FERNANDO
(Che dissi! Imprudente!)

INES
Ah! parla, palesami un segreto, che tanto anela
di conoscere il mio core...

FERNANDO
Lascia, che io taccia, e miglior tempo attendi.

INES
Va’ ingrato! Va’! Temi di me? Non sai,
che arcani amor non ha?

FERNANDO
Legge crudele
il mio silenzio impone.

INES
Ah! no, non mi ami,
e mi lusinga il tuo fallace inganno.

FERNANDO
(Hai più angosce per me, fato tiranno?)
Un mentitor mi credi?
Puoi dubitar di me?
Aprimi il core, e vedi
se pura è la mia fé.

INES
Pensa, che i giorni miei
serbai finor per te:
che di dolor morrei
priva di tua mercé.

FERNANDO
Un dubbio tal mi offende...

INES
Narra le tue vicende.

FERNANDO
Per or nol posso... in breve tutto saprai: tel giura
il labbro mio...

INES
Sicura dunque sarò? Né temo
esser da te tradita?

FERNANDO
Qual tema? Ah no... mia vita!
Mirar quei vaghi rai,
ed esser mancatore
possibil non è.

INES
Perdona, io ti oltraggiai,
ma colpa fu di Amore,
che dubitar mi fe'.

INES e FERNANDO
S'è ver, che in ciel si formano
i tuoi legami, o Imene,
eterne, indissolubili
tu rendi le catene,
che i nostri cori avvinsero,
che strinse il nume arcier!

INES
Addio!

FERNANDO
Va pur, mia cara...
ti affida e non temer.

INES e FERNANDO
Affetti! ah, voi, che a gara
quest'anima straziate,
l'istante non turbate
di un rapido piacer!
(via Ines)

Scena terza
Fernando, indi Argilla dal cancello.

FERNANDO
In quale imprudenza mi trasportava uno slancio
inconsiderato!

ARGILLA
Don Fernando?

FERNANDO
Argilla, che hai tu da dirmi?

ARGILLA
Ascoltate: qui si ordisce un tradimento; un
assassinio all'amistà assopita... io vi prescelgo
a sorprendere l'aggressore: così l'uomo rispettabile,
che a voi sarà debitore della sua salvezza, potrà
facilitarvi il possesso d'Ines.

FERNANDO
Spiegati in più chiari accenti.

ARGILLA
Il perfido don Ranuccio, per vendicarsi degli
oltraggi che crede di aver ricevuti dal duca di
Alziras, al prezzo della mano di sua figlia ha sedotto
Antonio Alvarez a rendersi l'assassino del duca,
e questa notte è per commettersi così enorme mi
sfatto.

FERNANDO
Che ascolto!

ARGILLA
Avete armi?

FERNANDO
Alla difesa della mia vita serbo occulto un pu
gnale.

ARGILLA
Restate lì alla vedetta, e siate pronto ad accorre
re alla mia voce.

FERNANDO
Vado.
(si cela)

Scena quarta
Argilla, indi dal cancello Sguiglio, e zingari seguaci
di Argilla, con torce smorzate, un lanternino, e
catene.

ARGILLA
Entrate amici.

SGUIGLIO
Aje trovato lo patrone mio?

ARGILLA
Sì.

SGUIGLIO
L'aje parlato?

ARGILLA
Già.

SGUIGLIO
E mo addò stà?

ARGILLA
In un sito sicuramente.

SGUIGLIO
M'aje levata la curiosità! L'aje ditto: ca m'aje
trattenuto cottíco, pe t'ajutà a la 'mbroglia, che
haje pensata?

ARGILLA
No.

SGUIGLIO
No? E aje fatto assaje!

ARGILLA
Non dubitare, lo avvertirò di tutto fra poco: tu
intanto scendi ne la cisterna co' miei compagni:
io vi ho bene istruiti di quanto fa d'uopo per la
scena che ho meditata.

SGUIGLIO
Ricórdate de la bonamano, che m'aje promessa.

ARGILLA
Vorresti in moglie una delle mie zingare, non è
vero?

SGUIGLIO
Cioè, io vorria a te: ma quanno st'arcera è riserbita
a cacciatori magnati, m'arremedio co la prattica
toja chiù peccerella, ca è 'na guagliona, che
se va facenno mereto.

ARGILLA
Abbasso chiacchierone! Scendete con voi le ca
tene, l'occorrente da far le fiamme.

SGUIGLIO
Vi ca non facimmo tanto fieto de zurfo, ca io
patesco d'affetti sterici!

SGUIGLIO
Oh, che puzza de perimma! A nomme de 'na pon
tura!

Sguiglio preceduto da' zingari scende nella cisterna
facendosi lume col lanternino.

ARGILLA
Voi altri due nascondetevi là, e siate pronti ad
ubbidirmi.
(I due zingari si nascondono fuori il castello)
Si dia adesso il segno al credulo Papaccione.
(batte la porta ferrata)
Non mi risponde! Eh! eh!
Papaccione! Papaccione!

Scena quinta
Papaccione prima dentro, poifuora dalla porta
ferrata e detta.

PAPACCIONE
Ma si non sento primma canta lo gufo e la cevetta,
comme vuò che te risponno?

ARGILLA
(Oh maledetto! Al riparo) Apri dico.
Quante civette vuoi sentire?
Non hai tu ascoltata la mia voce?

PAPACCIONE
Ne? E tu che sì cevettola?

ARGILLA
Che maraviglia! Non sai che zingara e civetta
s'intende dire lo stesso? Tu non capisci affatto
il linguaggio mistico.

PAPACCIONE
E secunno sto par'à cistico tujo, lo gufo mo' chi
aveva da essere?

ARGILLA
Tu stesso, che dovevi per necessità rispondere
all'invito di questa civetta.

PAPACCIONE
Siente, quacche bota aggio dubitato d'essere ommo
a quatto piede, ma 'maje aggio pensato d'avè le scelle;
e pecchesto me ne so ghiuto sempe
terra terra, ne me so partute 'maje da corpiette
e gonnelle.

ARGILLA
Sbrigati, che siamo già a tiro.

PAPACCIONE
Mo'... Quanto 'nzerro sta porta, e so cottíco.
(chiude la porta, e mette le chiavi alla cintura)

ARGILLA
(Oh! Quelle chiavi saranno fra poco in poter mio)

PAPACCIONE
Argì... aggio portato porzì sto sacco pe me ne car
rià quante chiù ne pozzo de zecchine.

ARGILLA
Hai fatto benissimo: vedi tu queste due doppie?
Io le ho trovate fra le tante altre sparse su primi
scalini, che conducono in fondo a quella vecchia
cisterna...

PAPACCIONE
Aje visto buono? Fossero jettarelle?

ARGILLA
Che dici! Vuoi che io non conosca l'oro?

PAPACCIONE
Ma si so ciuccio! É stato il gran metallo, che
sempre ti ha tirato simpatia.

ARGILLA
Ho steso la mano per prenderne delle altre, ma
una forza invisibile me l'ha respinta: sono esse
riserbate solamente al buon Papaccione!

PAPACCIONE
Oh! che piacere! Abbesogna però, ch'io trovo
qualche nova maniera de ne fruscià parte de sto
denaro, ca si no pensanno, che ne tengo tanto
contra il mio solito, io me sento l'ommo lo chiù
confuso de lo munno.

ARGILLA
A ciò penserai dopo: orsù discendi nella cisterna:
l'ora è già tarda...

PAPACCIONE
Dico io... aggio da scennere afforza llà bascio,
non è lo vero?

ARGILLA
E come potresti altrimenti impossessarti del
tesoro?

PAPACCIONE
E non potarríano li spirite avè la crianza de
portaremillo ccà ncoppa, senza farme piglià
st'incomodo?

ARGILLA
Tu sei un originale! Va... scendi... e non perdere
più tempo.

PAPACCIONE
Ma pecché non scennimmo 'nziemo?

ARGILLA
Ed a che fare?

PAPACCIONE
Tu tenarrisse'ncampana a li mammune, e io
turria l'arravoglia cuosemo.

ARGILLA
Ma se è a te solo destinata questa fortuna...
Papaccione, adesso vado via... e così...

PAPACCIONE
Aspè… mo scenno… sapisse alomanco comme
stanno d'umore chilli duje galantuomene, che
guardano lo tesoro?

ARGILLA
Astarotte e Belzebucco? Non temere... io li ho
pacificati co' miei scongiuri: ne vuoi una pruova?
(affacciandosi alla cisterna)
Oh! voi, che custodite le immense ricchezze
nascoste in questa cisterna, fate sentire al buon
Papaccione gli ordini del vostro Nume infernale!

Si vede dal fondo della cisterna un vampa, indi si
sente il seguente coro sotterraneo...

CORO
Scendi, scendi Papaccion
tanto caro al dio Pluton!
Di monete un milion
generoso ei ti offre in don:
scendi, scendi Papaccion,
tanto caro al dio Pluton.

PAPACCIONE
(Ajemme! Che brutte vuce in bautta!)

ARGILLA
Sei contento? Avrai ora più ritegno di scendere?

PAPACCIONE
(Io mo sarria stato a munno mio 'no grann' ommo
coraggiuso, si non avesse avuto lo vizio de
ire sempe 'ncompagnia co la maledetta paura!)

ARGILLA
Bada però di non portare indosso alcun metallo:
potresti così perdere la tua sorte.

PAPACCIONE
Quà metallo? Dinto a la sacca mia non c'è manco
orma di abitator, che la calpesti.

ARGILLA
Ti parlo di ogni sorta di metallo hai tu armi
di acciaio? Chiavi?

PAPACCIONE
Tengo chelle della porta, e de le catene de
lo prigioniero.

ARGILLA
E lasciale a me: le avrai al tuo ritorno (É fatta!)
Orsù al felice cimento...

PAPACCIONE
Mo… ne? Saje certo si la gradiata arriva ‘nzi abbascio?
M'avesse da rompere la noce de lo cuollo?

ARGILLA
Quante scuse! Quanti pretesti! Or ora mi fai
perdere la pazienza!

PAPACCIONE
Mo! Aspetta, e bì che pressa!
Scenno, gnorsi, bel bello!
Ma all'infernal drapello,
primma che me presento,
vorria no complimento
cottíco combinà.

ARGILLA
Poltrone! Ogni momento
caro ti costerà.

PAPACCIONE
Si vada quanno è chesto...
Gnernò! Non è paura...
Ma è un venticello infesto
na meza tramontana,
che lesta 'na terzana
m'ha fatto mo scetà.
Addio: di doppie o cara
portà te voglio un carro...
Neh? Dimme, 'no catarro
ce potarrìa piglià?...

ARGILLA
Orsù men vo... tu resta...

PAPACCIONE
Ah no mio ben, ti arresta!
Mo scenno... eccome ccà!

Un'altra vampa dalla cisterna.

Misericordia! Ajemmè!
Sta vampa de che sà?

ARGILLA
Sdegnato si è Plutone,
il devi or tu pregar.

PAPACCIONE
Gnernò... lui m'è patrone...
Mo' veo de lo placà...
Per quei magnifici
raggi frontìferi,
che di Proserpina
fur doni egregj,
Plutone! Ah, placati
per carità!
Se di olocausti
hai desiderio,
offro sta zingara,
sto bello intingolo
alla tua cognita
golosità.

CORO
(come sopra)
Là fra tartarei
chiostri, terribili
penetrò rapida
tua voce supplice:
Pluto dimentica
le andate ingiurie,
e la sua grazia
ti sa tornar.
Ma ogni altro indugio
lo fa sdegnar.

ARGILLA
Orsù risolviti.

PAPACCIONE
'N'aggio timore ...
‘N’eroe divento ... animo, e core!
(Ma vi ste gamme comme so toste,
che sempre arreto vonno cessà!)

SGUIGLIO
(dalla cisterna)
Scendi.

PAPACCIONE
Chi parla?

ARGILLA
É un diavoletto...

SGUIGLIO e SERVI
Scendi...

PAPACCIONE
Mo' vengo...

SGUIGLIO
Presto.

PAPACCIONE
So' cca...
Ma vi sto spireto comm'è afflittivo!
Ma vì che susta me stace a dda!
Addio... mia bella! Si torno vivo
maje cchiù co' spirete voglio trattà!
Dà cca lo parpeto m'arresta, e azzoppa,
llà co' le ddoppie vorria fa toppa,
e in così barbaro conflitto isterico
chi me consiglia che aggio da fa?
(scende nella cisterna)

ARGILLA
Pietoso cielo! Deh, tu guida i miei passi.
(apre la porta ferrata ed entra sollecitamente)

PAPACCIONE
(dalfondo della cisterna)
Ajuto, Argilla, ca ccà m'hanno stutata la lanterna!

SGUIGLIO
(con voce finta)
Rompiti il collo! All'inferno!

PAPACCIONE
Misericordia! Ca chiste me carreano a casa cauda!

SGUIGLIO
Ascimmo priesto, primma che chillo non se sose
da lo smallazzo che l'avimmo fatto pigliare.
(uscendo co' zingari dalla cisterna)

Scena sesta
Argilla conduce fuora don Sebastiano, indi Papaccione
dalla cisterna, poi Ranuccio ed Antonio, Fernando in osservazione.

SEBASTIANO
Oh! Mia liberatrice! E qual ricompensa?

ARGILLA
Zitto! Compagni! L'affido a voi!
(a Zingari nascosti, che corrono alla voce di Argilla)
Circondatelo e conducetelo alle porte del castello...
Attendetemi, verrò là fra poco: io non posso
per ora abbandonar questo luogo.

SEBASTIANO
Oh! Mano celeste! Sei tu, che hai schiusa la mia
prigione.
(esce co' zingari per lo cancello)

SGUIGLIO
Siè Argì? L'amico sta llà bascio facenno le ppese...
Io torno da lo patrone.

ARGILLA
No... Anzi tu devi trovare il modo di penetrare
alle stanze d'Ines: dille, che stia guardinga: io
temo, che questa notte il padre voglia obbligarla
a sposare Antonio.

SGUIGLIO
'Nzomma tu aje pigliato a forza de mira a sto
povero cuorio mio?

PAPACCIONE
M'haì fatto chesto, zingara 'mmalorata!

ARGILLA
Papaccione, torna su...

SGUIGLIO
'Mmalora! E comme ‘n’ha trovata la strata?

ARGILLA
Ci siamo intesi... io mi nascondo
(va dov'è celato Fernando)

SGUIGLIO
A nomme de spate 'ncuorpo!
(esce)

Papaccione arrampicandosi e tremandosi giunge
sopra della cisterna.

PAPACCIONE
Mo moro! Chi m'ajuta a bottà le gamme? Io so
bivo, e no lo credo! Ma che diavolo manische!
E comme so brutte le scoppole infernali! Quanta
catene! Quanto rommore!... Po' tutto 'nziemo
li spirite se ne so ghiute, e io pe' 'no portiento
aggio trovata la gradiata pe' me mettere 'nsarvo!
Addò sta chella mariola, che m'ha fatto avè
sto bello complimento? E mo' comme traso llà
dinto si chella s'ha portata la chiave?
(si avvicina alla porta, e si sorprende nel
ritrovarla aperta)
Oh! maro me! La porta è aperta? Ah, quacch'auto
guajo chù gruosso me stà stipato! Mannaggia
lo tesoro, e quanno maje ce n'è stata parola!
(entra nella porta)

Arriva don Ranuccio, ed Antonio avvolto in un tabarro.

RANUCCIO
La notte è inoltrata: vieni pure Antonio.

ARGILLA
(Ah! è qui l'empio! Attento, don Fernando!)

RANUCCIO
Quella è la porticina, che conduce per una scala
segreta alla stanza, ove dorme il duca di Alziras.
Va'... egli ora è nel colmo del sonno, e niuno
ostacolo si frapporrà al tuo ardito braccio, ed al
mio avido desio.
(apre la porta indicata)

ARGILLA
(Volate, don Fernando... prevenite il traditore)

FERNANDO
(Vado... Deh! tu assistimi, o cielo!)
(sulle punte de piedi attraversa la scena, e
s'introduce nella porta suddetta)

ANTONIO
Ma se mai fossi scoverto?

RANUCCIO
E da chi, se tutto è ordito in modo, che resterà
sepolto nell'impenetrabile silenzio il ministro della
mia vendetta?

ANTONIO
Ah i non giova arrestarsi a mezzo il corso: attendimi;
fra pochi altri istanti tu sarai vendicato, ed
Ines saprà rendermi felice.
(s'inoltra nella porta medesima, o ve è entrato Fernando)

ARGILLA
(Nume di bontà! Deh, tu proteggi la mia intrapresa!)
(esce per lo cancello)

RANUCCIO
Si è finalmente risoluto! Oh! Quanto io temea,
ch'egli fosse tuttora restio a' miei voleri! Eppure
in questo momento il mio cuore è agitato da'
palpiti... e pare, che il presentimento di qualche
sciagura... Eh! vano timore! Avrà a quest'ora il
mio perfido nemico pagato già il fio delle ingiurie
a me fatte... Ma sembrami di udire un sollecito
calpestio! E Antonio, che ritorna.

Scena settima
Ranuccio, Antonio esce frettoloso, ed inseguito da
Fernando, indi dalla porta istessa il duca di Alziras
senza manto e con ferro impugnato, poi Papaccione
dalla sua porta, Amelia che trascina Sguiglio,
infine Argilla, che conduce don Sebastiano.

RANUCCIO
(ad Antonio)
Ebbene?

ANTONIO
Taci... sono inseguito...
(fugge per lo cancello)

FERNANDO
Perfido! Tenti invano fuggirmi...
(lo insegue)

RANUCCIO
Oh, sorte iniqua!

DUCA
Dov'è l'empio assassino?
(seguito da servi)

RANUCCIO
Duca, che avvenne?

DUCA
Ah! s'insegua tosto il traditore...

RANUCCIO
Chi mai?

DUCA
Un grido mi ha destato dal sonno... al lontano
riflesso di debol lume veggo il braccio di
un'assassino pronto a ferirmi...

RANUCCIO
Oh, stelle!

DUCA
Quando un uomo che io non ravviso, lo arresta,
lo sbalordisce, ed insegue. Io balzo allora da le
piume, chiamo i miei servi, per raggiungere
l'aggressore... ma egli è sparito dal mio sguardo...

RANUCCIO
Oh, cielo! E nel mio pacifico albergo può aggi
rarsi un traditore?

PAPACCIONE
(Ah! Me l’ha fatta! Lo viecchio se n’è
fojuto! Mo' si ca so arrojenato addavero!)

AMELIA
Adesso dirai al padrone perché furtivamente ti
sei appressato alle stanze d'Ines.

SGUIGLIO
Gnernò, io veneva a trovà a buje...

ARGILLA
Venite, e più non temete qui per voi il duca
di Alziras.

RANUCCIO
(Chi veggo! Alvarez!)

PAPACCIONE
(É tornato! Oh, che galantommo!)

SEBASTIANO
(al duca)
Amico, ah! stendimi le tue braccia.

RANUCCIO
Che mi succede! Oh, colpo!
Io fui tradito!

DUCA
(stentando a riconoscerlo)
Ah, parmi!...

SEBASTIANO
Non sai tu ravvisarmi?

DUCA
Alvarez! Non m'inganno.
Oh, qual ti miro!

RANUCCIO
(Ohimè!)

PAPACCIONE
(Ajemmè!)

RANUCCIO
(Oh, come a danni miei
par che congiuri il fato!
Lena e vigor perdei...
coraggio io più non ho!)

DUCA e AMELIA
(Oh quante un solo istante
strane vicende aduna!
Incert(a/o) , e palpitante
che immaginar non so!)

ARGILLA e SEBASTIANO
(In quel pallor l'indegno
palesa il fier conflitto,
che il grave suo delitto
nel sen già gli destò)

PAPACCIONE
(Oh! carne prelibbate!
Ciacèlle sbenturate!
De vuje mo' don Ranuccio
ne là nó fricandò!)

SGUIGLIO
(Ebbivà la siè Argilla!
Se 'mpizzi comme anguilla!
Vedimmo sta facenna
comme se sbroglia mo'!)

DUCA
(a Sebastiano)
Ma come qui sei?

SEBASTIANO
(indicando Papaccione)
Tel dica costui...

DUCA
Tu dunque...

ARGILLA
Colui
parlare non può.
Per ora il silenzio
succeda al rumore:
che tutto, signore,
svelarti saprò.

RANUCCIO
(Ah! straziami il petto
furor, e dispetto!
Da palpiti oppressa
confusa, avvilita
quest'alma smarrita
consiglio non ha!)

ARGILLA e SEBASTIANO
(Gli straziano il petto
timore, e dispetto:
da palpiti oppressa
confusa, avvilita,
quell'alma smarrita
consiglio non ha!)

GLI ALTRI
(Mi desta ogni oggetto
un forte sospetto!
Da palpiti oppressa,
dubbiosa, avvilita,
quest'alma smarrita
consiglio non ha!)

Viano per diverse parti

Scena ottava
Ines, Poi Ranuccio e Papaccione.

INES
Che mai dirmi volea il seguace di Fernando? Ma
il padre sdegnato trascina qui il suo domestico?
E a quale oggetto?

RANUCCIO
Vieni anima rea! Vieni, e dimmi in qual modo...

PAPACCIONE
Signò! Stammoce coeto co' le 'mmane, e parlammo
da galantuómmene, comme ce ha fatte la
madre natura, ca a me si se ne sò cadute le ddeta,
ce so restate Panelle: de tutte l'aute debolezze
n'aggio potuto fa passo, ma l'educazione è stata
sempe la passione mia.

RANUCCIO
Non bastano i tuoi raggiri a frenare l'ira che mi
arde in seno!

PAPACCIONE
'Nzagnate, pigliate 'no bicchiero de vino co 'no
tezzone stutato dinto, che tu vuo' là venì 'na goccia?...
(che sarría la sola acqua de maggio pe me!)

RANUCCIO
Empio!

PAPACCIONE
Gnorsì... 'me so 'ngrassato mo', che so granneciello...
ma quanno fuje bardascio, era discolo
comm'a bosta accellenzia.

RANUCCIO
Tu capace di tradirmi? Di aprir la porta a colui,
che con tanta gelosia io ti aveva dato in custodia?

PAPACCIONE
A me? Me meraviglio! Io quanno aggio d'apri
1 na porta, ce penso primmo si avesse de passà quà
lotano: lo viecchio marranchino è stato lo scrianzato,
che se ne ha voluto ire, mentre steva a casa
franca, e boscellenzia lo trattava tanto bene, a
cucina, e riposto aperto in tutta la giornata.

RANUCCIO
Ma le chiavi non eran teco?

PAPACCIONE
Erano meco, ma la zingara briccona se le portò
seco.

RANUCCIO
Perché tu gliele lasciasti?

PAPACCIONE
Gnernò... pecché essa se le pighaje pè 'no cierto
Trjello, che m’ha fatto…

RANUCCIO
No... tu cerchi d'ingannarmi: tu sei stato d'accordo
col prigioniero: tu gli hai aperto lo scampo alla fuga.

PAPACCIONE
Qua' fuga! Si chillo s'ha fatta 'na passiatella, e
po' è tornato co li piede suoje a farte 'na viseta?

RANUCCIO
Mi deridi di più? Ah, perfido!
(volendo snudare il ferro contra Papaccione.- Ines
si fa avanti, e lo trattiene)

INES
Fermatevi...

PAPACCIONE
Sarva! sarva!
(via)

RANUCCIO
Scostati! A che rapirmi una giusta vendetta?

INES
Ma che ti fece quell'infelice?

RANUCCIO
Anche tu mia nemica?

INES
E puoi credermi tale, se tento di allontanarti da
un eccesso?

RANUCCIO
Apparecchiati a seguirmi nell'altro mio castello
alle vicinanze di Toledo... Oggetti pressantissimi
colà mi chiamano e là tu porgerai la mano ad
Antonio Alvarez (così costui saprà celare il mio
svanito disegno)

INES
No padre, Antonio non sarà mai mio consorte.

RANUCCIO
Audace! Ed osi rispondermi con tanta sfrontatezza?

INES
Non è più in me il disporre del mio core, se già
lo diedi a Fernando.

RANUCCIO
A Fernando? Ah! iniqua! E chi è costui, che ha
potuto renderti ribelle a' paterni voleri?

INES
Un giovane amabile, e troppo degno della mia
tenerezza.

RANUCCIO
Oh! Qual eccesso! Ah! Quanti! Quanti siete a tradirmi!

INES
No... padre!

RANUCCIO
Allontanati, figlia sciagurata, se non vuoi, che
nell'impeto del mio sdegno io scagli su di te la
mia maledizione...

INES
Taci! Non proseguir! Freme natura
inorridita a questi accenti! Ah! mira
a piedi tuoi la sventurata figlia!
Maledirmi, e perché?

RANUCCIO
Perché tu merti
l'ira di un padre.

INES
Ah! no... colpevol tanto
Ines non è...

RANUCCIO
Sorgi... da' sguardi miei
involati, e per sempre, anima rea!

INES
Qual cruda stella al nascer mio splendea!
Se fu colpa un primo affetto,
se delitto è un casto ardore,
perché darmi, o padre, un core
tanto facile ad amar?
Ah, no... amato genitore!
Per pietà non ti sdegnar!
Mi sento a quel fremito,
al torvo tuo ciglio
colpita da un fulmine
di vita mancar!
Oh, morte! Deh! appressami
l'adunco tuo artiglio,
chè pene si barbare
non so tollerar!
Del mio non si vide
più misero stato!
Oh, amor sventurato!
Oh, acerbo penar!
(via)

Scena nona
Duca di Alziras e don Sebastiano.

SEBASTIANO
E della insidia a te commessa non hai ancora
rintracciato l'autore?

DUCA
Il reo s'invola dalle mie ricerche. Amico, ah! mille
dubbi agitano la mia mente! Io non rammento
di avere offeso alcuno: un solo, che io resi infelice,
avrebbe giustamente potuto vibrarmi il fulmine della
sua vendetta; ma egli finora, generoso, al vincolo del
sangue ha saputo sagrificare le ingiurie da me ricevute.

SEBASTIANO
E chi mai?

DUCA
Fernando, il mio sventurato fratello: mi si fece credere,
ch'egli insidiasse i miei giorni, perché aspirava alla
mia fortuna: io lo bandii dal mio fianco... Ed ora, che,
vinti da rimorsi i suoi calunniatori, mi hanno svelata
la sua innocenza, io non so dove rintracciarlo, per
stringerlo al mio seno.

SEBASTIANO
(Fernando si è a me svelato; il momento è felice) E tu
non ravvisasti, o duca, quel giovane, che arrestò il
braccio del tuo assassino?

DUCA
Egli mi fuggì dallo sguardo inseguendo quel perfido.
Oh, quanto amerei di conoscerlo! Qual ricompensa
egli non merita dalla mia riconoscenza?

SEBASTIANO
Ebbene attendimi… or ora tu lo vedrai.

DUCA
Che? É egli a te noto?

SEBASTIANO
Attendimi, ti replico, e prepara il tuo core ad una
dolce sorpresa.
(via)

DUCA
Che sarà mai? Ed Alvarez ha potuto scovrire il mio
liberatore? Mi darà egli il piacere di mostrargli la mia
gratitudine? Eccolo! Egli già torna.

Scena decima
Sebastiano, Fernando ed il duca di Alziras.

SEBASTIANO
Miralo: è il tuo germano, è
quel Fernando istesso, che tu
volesti oppresso, che i giorni
tuoi salvò.

DUCA
(Ah! qual sorpresa è questa!
Mirarlo, oh Dio! non oso! Ei
tanto generoso le offese mie
scordò?)

FERNANDO
Mai questo cor restio fu
di natura al grido;
e sparse ognor di obblìo gli
oltraggi che provò.

DUCA
I torti miei ravviso, son di
perdono indegno...

FERNANDO
Sia questo amplesso un segno che
mi sei caro ancor.

SEBASTIANO
Sia quell'amplesso un pegno del
suo sincero amor.

SEBASTIANO, DUCA e FERNANDO
E’ tenero il pianto,
che il ciglio m'inonda!
Natura ne ha il vanto,
nol preme il dolor.
E dopo il conflitto
Di fiera procella
oh! quanto è più bella
la pace del cor!

DUCA
Ma dimmi... e da qual mano
l'insidia a me fu tesa?

FERNANDO
Lo ignoro...
Ma non invano ...

SEBASTIANO
Ah! sì, l'offesa ...
No, duca, io non m'inganno
partì dal rio tiranno,
dal mio persecutor.

DUCA
Che? Da Ranuccio? Oh, quale
Idea mi sorge in mente!
Ed invido, e fremente
seppe dolersi un dì,
che il mio sovran clemente
nel primo onor di corte
a lui mi preferì.

SEBASTIANO
Perciò di trarti a morte
trama fatal ti ordì.

DUCA
Se laccio tal mi tese,
paventi ormai l'indegno:
il fulmin del mio sdegno
sul capo suo cadrà.

SEBASTIANO
Ah, sì... quell'alma perfida
sempre alla strage è intenta:
ravvisa in me una vittima
della sua crudeltà.

FERNANDO
(Perché del mio tesoro
quel mostro è genitore?
E fra dovere, e amore
che far mi converrà?)

DUCA, SEBASTIANO e FERNANDO
Sian grazie al ciel pietoso,
che nel fatal periglio
(mi/ti) volse amico il ciglio,
ebbe di (me/te) pietà

Scena ultima
Tutti gli attori, come saranno indicati.

RANUCCIO
Io vengo ansioso, o duca, a conoscere lo stato della
vostra salute, dopo il sofferto disguido.

DUCA
(ironico)
Son tenuto alla vostra premura, e spero fra poco
Di darvi quella risposta, che meritate.

RANUCCIO
(Ohimè! Egli reprime la sua collera! Ah, son perduto!)

INES
Sei pur qui, mio Fernando? Non sai? Il padre vuol
darmi Antonio in isposo.

RANUCCIO
Come! Colui Fernando?

DUCA
Sì, mio fratello riconoscetelo pure.

INES
Egli vostro fratello?

FERNANDO
É questa, o germano, la mia sospirata fiamma!...

DUCA
La figlia di Ranuccio!

AMELIA
Eccellenza! La gente del vostro seguito reca quì in
ceppi Antonio Alvarez, che ha raggiunto nel vicino
villaggio... eccolo...

SEBASTIANO
Mio nipote!

ARGILLA
Sì, vostro nipote, colui, che sedotto da don Ranuccio
consentì alla vostra prigionia, onde appropiarsi i beni,
che a voi appartenevano: e che, ministro della
vendetta di don Ranuccio medesimo,
nella scorsa notte avrebbe nel sonno trafitto il duca di
Alziras, se il favor sovraumano nello sconosciuto
germano del duca non mi avesse presentato il suo
liberatore.

DUCA
Oh! eccesso!

ANTONIO
(Oh! rossore!)

SGUIGLIO
(Oh! che matassa!)

PAPACCIONE
Roba da farne tre commedie de seguito!

GHITA
Io son sorpresa!

MANUELITTA
Altro che imbrogli da zingara!

DUCA
Iniquo!
(a Ranuccio)
Sulla tua fronte è già scolpita la colpa:
benché autorizzato dalla mia carica, io non
voglio erigermi in tuo giudice: il duca di Alziras
dimentica le tue offese, ed unito ad Antonio ti fa
tradurre alla capitale, perché entrambi rendiate conto
della violenza usata al bravo don Sebastiano.

PAPACCIONE
Comme vonno parè belle dinto a doje gajole le
cape de Maledonato e Matatesta?

INES
Ah! signore...

FERNANDO
Ah, fratello! Egli è d'Ines il genitore...

RANUCCIO
(inginocchiandosi)
Se un verace pentimento...

SEBASTIANO
Alzati sciagurato! Duca, se la sola ingiuria da me
sofferta arma il braccio della tua giustizia, io non sono
meno generoso di te, e lo perdono...

DUCA
Sia egli dunque per sempre confinato in questo
castello, e troverà il suo supplizio ne' suoi rimorsi
medesimi.

RANUCCIO
(Oh, dispetto!)
(via con Antonio)

AMELIA
Non resti così adombrato il piacere, che destano
tante imprevedute combinazioni, che vi riuniscono
insieme.

ARGILLA
Ed alla zingara, che ha fatto tutto, non si fa quel
plauso, che a lei sembra dovuto!

PAPACCIONE
Sc'chitto a me m'aje fatto restà co no tesoro
‘ncannavola!

SEBASTIANO
Essere benefico! A te debbo l'aura di libertà che
respiro: le tue virtù sono meritevoli di miglior sorte.
Ah! vieni fra le mie braccia! Tu mi farai le
veci di quella figlia, che perdei bambina, e che
non posso cancellare dalla mia rimembranza.

SGUIGLIO
(Me credeva, che lo viecchio avesse fatto
quacch'auto designo!)

ARGILLA
Vi son tenuta, ma non credete, che io sia di origine
zingara: sono di una illustre famiglia, che
io cerco da per tutto: colei, che ho sempre rispettata
qual madre, negli ultimi suoi aneliti mi affidò che
mi avea essa rapita bambina, mentre io,
allontanata dalla mia poco accorta balia, passeggiava
lungo la sponda di un fiume.

SEBASTIANO
Qual somiglianza!

ARGILLA
E per agevolarmi la scoverta della mia progenie
mi die' questa gemma, che mi pendeva al collo
allora quando io fui rapita.

SEBASTIANO
Cielo! Deh! tu avvera le mie speranze! Ah, sì, ecco
la cifra del mio cognome! Appressati al mio
seno! Il core co' suoi frequenti ribalzi fa sentirmi,
che riacquisto in te la mia figlia smarrita!

AMELIA
Otil qual sorpresa!

SGUIGLIO
E bì si pozzo.trovà pur'io 'no patre cavaliero!

ARGILLA
Tu l'autor de' miei giorni? Io la tua figlia?
Ah, padre! ah! cari miei! Di tanta sorte
palpito incerta ancora!
Amica alfin per me sorse l'aurora?
E fia ver? Di si gran dono
fausto il ciel mi ricolmò?
Or comprendo i dolci moti,
quei soavi affetti ignoti,
che natura in me destò!
Deh! Mi stringi, o padre, al seno,
e il tuo cor sia lieto appieno,
se finora sospirò!

SEBASTIANO E CORO
Sì ti stringo, o figlia al seno,
e il (mio/tuo) cor sia lieto appieno
se fin'ora sospirò.

ARGILLA
Oh! gioia inesprimibile!
Oh! mia felicità!
L'eccesso del contento
mi tronca... oh, Dio! l'accento!
Piacere incomprensibile
l'alma beando va!
Oh! gioia inesprimibile!
Oh! mia felicità!

SGUIGLIO
(al duca)
Orsù fra li contiente,
fra abballe, e fra festine,
vedimmo un po' li diente,
signò, d'esercità.

PAPACCIONE
(ad Argilla)
Signora, mo' si fatta
pe’ me non sì cchiù cosa...
Co Ghita, ch'è porposa,
mo' veo de m'acconcià.

GLI ALTRI
Ah! dopo il fiero nembo,
che ha l'anima agitata,
oh! quanto sei più grata
dolce serenità!

CORO
Ed or che in ogni core
pace sorride e amore,
godiam di sì bel giorno
la bella ilarità!

FINE

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