Gaetano Donizetti
(1797-1848)
Torquato Tasso
Melodramma in 3 Atti di Jacopo Ferretti, è stata rappresentata a Roma (Teatro Valle) il 9 settembre del 1833
PersonaggiEleonora, sorella di Alfonso II d'Este (Soprano); Eleonora, contessa di Scandiano (Mezzosoprano); Torquato Tasso (Baritono); Roberto Geraldini, segretario del duca (Tenore); Don Gherardo, cortigiano del duca (Basso); Alfonso II d'Este, duca di Ferrara (Basso); Ambrogio, servo di Torquato (Tenore); cavalieri, cortigiani del duca, paggi, svizzeri in armi
ATTO PRIMO
Atrio magnifico nel ducal palazzo in Ferrara.
Fra le colonne si scorgono le porte degli appartamenti terreni.
Il primo a destra è della duchessa Eleonora.
Il secondo è della contessa Scandiano. A sinistra il primo è del Tasso,
il secondo è di Geraldini. In fondo è quello del duca,
innanzi a cui passeggiano guardie svizzere.
Scena prima
Alcuni cavalieri si avanzano dalla porta
dell'appartamento del Duca parlando sommessamente fra loro;
indi Don Gherardo dal colonnato in fondo;
poi Ambrogio dalle stanze del Tasso.
CORO
Due rivali, un invidioso,
un poeta innamorato,
un ridicolo geloso
stanno in corte a recitar,
e ci fanno rallegrar.
Ma che al povero Torquato
si prepari una tempesta,
ho un sospetto nella testa,
e comincio a paventar,
che sia prossima a scoppiar.
GHERARDO
(di dentro; indi in scena)
Come! No! Davvero? Niente?
Via, movetevi, cercate.
CORO
Don Gherardo! Lo ascoltate?
Già comincia a interrogar,
(fra loro)
e ha la febbre di ciarlar.
Sconcertata è la sua mente;
va di trotto alla follia;
ché una fredda gelosia
col continuo martellar
notte e dì lo fa tremar.
I Cortigiani si ritirano passeggiando fra le colonne; india
poco a poco si avvicinano complimentando Don Gherardo.
GHERARDO
Fra tutti quanti i punti
ch'io metto in voce o scrivo,
all'interrogativo
la preminenza io dò.
Senza di lui sol d'asini
pieno sarebbe il mondo;
dottor, se non interroga,
nessun mai diventò.
Così pescando al fondo
io vo d'ogni mistero;
così per bianco il nero
io mai non comprerò.
(scorgendo i cortigiani, e con somma volubilità,
interrogando or l'uno, or l'altro)
Di qua passato è il Tasso!
Ebbe nessun invito?
Il Duca è andato a spasso?
Il segretario è uscito?
Qual delle due Eleonore
finor cercò di me?
L'ambasciador di Mantova
udienza avrà solenne?
È cifra diplomatica?
Si sa per cosa venne?
Il Duca è bieco od ilare?
E la Scandiano ov'è?
Ma almeno qualche sillaba
dal labbro sprigionate...
Per Bacco! Come statue
udite, e non parlate!
che mummie da piramidi!
Mi fate rabbia affé!
CORO
Se respirar più liberi,
signor, non ci lasciate,
voi tanti imbrogli a chiederci,
invan vi affaticate.
Ma, zitto, o di rispondervi
possibile non è.
GHERARDO
Ma or che il domestico
del gran Torquato
stupido, stupido
vien da quel lato,
se qui l'interrogo
di buona grazia,
come un oracolo
risponderà.
CORO
Signor, giudizio!
Vi farà piangere
la vostra incommoda
curiosità.
GHERARDO
Eh! via, sciocchissimi!
Mi fate ridere.
Un uom di merito
sa quel che fa.
(Don Gherardo afferra per un braccio Ambrogio,
ch'esce dalle stanze del Tasso, e traendolo con
violenza sull'innanzi della scena, rapidamente
lo interroga)
GHERARDO
Che fà Torquato, compone?
AMBROGIO
sì.
GHERARDO
Innamorato sospira?
AMBROGIO
No.
GHERARDO
D'un'Eleonora discorre?
AMBROGIO
sì.
GHERARDO
Ma quale adora? Sai dirlo!
AMBROGIO
No.
GHERARDO
Come in un'estasi delira?
AMBROGIO
sì.
GHERARDO
Di me non brontola geloso?
AMBROGIO
No.
GHERARDO
Così laconico rispondi?
AMBROGIO
sì.
GHERARDO
Ed altro dirmene sapresti?
AMBROGIO
No.
GHERARDO
Quell'economico
tragico stile
tutta sconvolgere
mi fa la bile!
Bestiaccia inutile!
Vattene al diavolo!
stupido, zotico, bufalo,...
AMBROGIO
No.
CORO
Nell'acqua semina!
Sbagliò l'astuto!
(beffando Don Gherardo)
Ah! Ah! che ridere!
Nulla ha saputo.
Il nuovo oracolo
restò in silenzio.
Son tutte chiacchiere.
Nulla svelò.
GHERARDO
(Novello Tantalo
muoio di sete!)
(ad Ambrogio, poi ai cavalieri)
Con me tu reciti?
Ma non ridete!
(Ah! che una sincope
sento per aria)
(ai cavalieri)
Son ciarle inutili.
Tutto saprò.
AMBROGIO
(Domande scarica!
Il sordo io faccio.
Segue ad insistere!
Sorrido e taccio.
Io son politico,
non casco in trappola;
(da sé con aria di contegno politico)
da lui mi libero
col sì, col no)
I cavalieri si disperdono, e parte entrano nella sala del
Duca, parte dalla duchessa.
GHERARDO
Scortese! A un Don Gherardo,
che tien Lincèo lo sguardo,
che tutto seppe, tutto penetrò,
secco, secco rispondi: un sì, o un no!
Dove vai? Perché vai?
Eleonora Scandian vedesti mai
muover furtiva il passo
alle stanze del Tasso?
L'Eleonora, che ha fitta nel pensiero
è quella? Non è vero?
L'enigma scioglier puoi? Perché negarlo?
AMBROGIO
Per far servo e non dir. Faccio e non parlo.
(entra nelle stanze di Roberto Geraldini, e ne chiude
la porta)
GHERARDO
Entrò da Geraldini? Ergo Torquato
l'avrà da lui mandato. Ah! Se potessi
fiscaleggiar questo Roberto, a cui
anonima non è quella segreta
febbre d'amor che logora il poeta!
(tende l'orecchio, indi s'appressa vicinissimo alla porta
di Geraldini per udire ciò che dicono in quelle stanze)
Che brutto vizio! Parlano fra i denti!
S'appressan:
(ripetendo, come udisse)
"Fra momenti
da Torquato verrò."
Al varco, quando n'esce il coglierò.
E se non parla? E se lo svela amante
dalla Scandian riamato?
Amato lui?... Perché?... Per quattro rime?
Son donne!... Ohimè! La gelosia mi opprime!
(entra nell'appartamento del duca)
Ambrogio nel tempo delle ultime parole di Don Gherardo esce
dalle stanze di Geraldini, e ritorna in quelle di Torquato.
Scena seconda
Geraldini esce pensoso: indi dà uno sguardo agli
appartamenti di Torquato.
GERALDINI
Ah! non invan t'aspetto,
istante sospirato
del vindice furor che m'arde il petto!
Torquato, io t'odio; e tu cadrai, Torquato!
Il favore ch'ei gode,
l'eco della sua lode
lenta morte è per me. Ma splendi, brilla
astro orgoglioso... si... per poco, ancora.
Delle vendette mie verrà l'aurora.
Quel tuo sorriso altiero,
que' tuoi trofei vantati,
cangiati io voglio in lagrime.
Si, lo giurai: lo spero.
Secondami, Fortuna:
tutti i tuoi sdegni aduna;
fa che mi cada al piè.
Non tradirmi, o cara speme,
solo raggio a un cor che geme.
S'aura amica di favore
per Torquato tacerà,
sola alfin del Duca in core
l'arte mia regnar potrà.
Io saprò di quell'audace
render vano ogni disegno,
e celar l'antico sdegno
sotto il vel dell'amistà.
Finch'ei brilla io non ho pace;
l'ira mia dormir non sa.
(entra nelle stanze di Torquato)
Appartamento del Tasso. Una porta laterale è la comune.
Una in fondo conduce alle stanze interne. Tavola con
recapito da scrivere, volumi, e carte sparse, ed un picciolo
scrinio ferrato chiuso. Sedie.
Scena terza
Torquato avvanzasi lentamente come assorto in pensieri
di amore.
TORQUATO
Alma dell'alma mia, raggio soave
di non mortal beltate,
"Ah! Nulla manca in te se non pietate;"
né manca forse, no. Spesso pietosa
parli co' i muti tuoi labbri ridenti,
"E per un riso oblio mille tormenti!"
Ah! mia! per sempre mia! Fatal distanza,
dagli occhi miei dilèguati. Speranza,
non mi tradir. Se un solo istante, un solo,
t'amo, mi dice, il core appien beato
tutti i spasimi suoi perdona al fato.
(come colpito da una immagine di contento si appressa
rapidamente alla tavola in attitudine d'inspirazione)
Scena quarta
Ambrogio dalla comune precede Roberto, che gl'impedisce di
annunziarlo scorgendo Torquato in un momento d'estro poetico.
GERALDINI
Taci: mi lascia. All'estro sacro in preda
volano i suoi pensier.
Ambrogio s'inchina, e parte.
Vate orgoglioso,
che il lume togli a ogni più chiaro ingegno,
t'ecclisserò. Breve ti resta il regno.
TORQUATO
Non m'inganno?
GERALDINI
Delira.
TORQUATO
Oh! Mio contento!
Tutto il mondo è al mio piè. Dell'universo,
se a tanto giungo, a me par vile il soglio.
GERALDINI
Sogni; io son desto, e te perduto io voglio.
Torquato prende un foglio, afferra una penna, e scrive
seduto, cantando con enfasi ciò che scrive.
TORQUATO
"Quando sarà che d'Eleonora mia
possa godermi in libertade amore?
Ah! pietoso il destin tanto mi dia!
Addio, cetra; addio, lauri; addio, rossore!"
GERALDINI
Incauto? Che mai scrive? In quelle carte
sta la sentenza sua.
(scoprendosi, e scuotendo Torquato)
Folle! deliri?
(con simulata affettuosa amicizia)
Son colpa in te i sospiri.
Arcano e dubbio amor svelato e certo
rende il Tasso così?
TORQUATO
(caldo d'entusiasmo, traendo a sé Roberto)
M'odi, Roberto.
In un'estasi, che uguale
non provò mai d'uomo il core,
io sognai, che armato d'ale
mi rendean fortuna e amore.
Sospirando la mia bella
io volai di stella in stella;
non mortal, ma genio o dea
entro al sole io la trovai;
mentre a me la man stendea,
mentre a lei la man baciai;
t'amo, disse: amo sol te.
Fu un momento! A quell'accento
da me sparve Eleonora!
Ma in quel foglio espressi allora
il desio che crebbe in me.
GERALDINI
Di quei carmi al caro incanto
chi l'inspira appien ravviso.
La tua donna t'era accanto;
era fiamma il suo sorriso.
Poi sul foglio versò il core
quanto a te sperante amore.
Non si finge, non si mente
quel piacer che inebria il seno,
quella smania così ardente,
quel furor che ha sciolto il freno,
quell'arcano non so che.
Ma, Torquato sconsigliato!
a distruggerlo t'affretta;
o guizzar della vendetta
vedo il fulmine su te.
TORQUATO
(correndo a prendere il foglio; indi accennando
due volumi sulla tavola)
Ah! di padre ho l'alma in petto!
Qui del cor la storia io vedo.
Desta in me soave affetto
più di Aminta e di Goffredo;
dall'ingegno uscian quei carmi;
questi 'l cor me li dettò.
GERALDINI
(con tuono di viva, e tenera sollecitudine)
Fra l'invidia ed il sospetto
in periglio ognor ti vedo.
L'imprudenza dell'affetto
al tuo cor fatale io credo.
(Di sua man m'appresta l'armi:
con quei versi io vincerò)
Bada... suon di passi... parmi.
Torquato corre allo scrigno, vi getta dentro il
foglio, chiude, e ne trae la chiave.
Scena quinta
Ambrogio sulla porta di mezzo.
AMBROGIO
La duchessa vuol Torquato.
(s'inchina e parte)
TORQUATO
Ella!
GERALDINI
Incauto!
TORQUATO
Oh! me beato!
Dir che m'ama or forse udrò!
Caro sogno lusinghiero!
L'alma mia non s'ingannò!
GERALDINI
Che mai speri!
TORQUATO
Io tutto spero.
GERALDINI
Ardi 'l foglio.
TORQUATO
Io stesso!... Ah!... No.
(risolvendosi improvvisamente,
e dando la chiave dello scrigno
a Geraldini mentre lo abbraccia)
Ah! non sarìa possibile
che ardessi i versi miei!
Mirando i figli in cenere
morir mi sentirei!
Ma cedo a te: son tuoi;
struggili tu, se vuoi.
Non verserò una lagrima;
m'affido all'amistà.
(da se)
No, non tradirmi, amore,
vola ai contenti 'l core.
Quest'alma fortunata,
amante riamata
d'invidia ai re sarà.
GERALDINI
Serbar quel foglio improvvido,
Torquato, io non saprei;
le mura ancor qui parlano,
dell'aure io temerei.
Struggerlo tu non puoi?
Io l'arderò, se vuoi;
fin la memoria perdine;
ti affida all'amistà.
(da sé)
Oh gioie del furore,
io tutto v'apro il core!
Passi di pena in pena,
e goda il dritto appena
di risvegliar pietà.
Torquato abbraccia Roberto, e parte dalla comune.
Scena sesta
Geraldini solo; indi Don Gherardo dalla comune.
GERALDINI
O da lunghi anni attesa,
difficile vendetta, alfin... lo spero,
sei vicina a scoppiar. Velai col manto
di pietosa amistà lo sdegno antico,
e l'incauto s'apriva al suo nimico.
Grande tu sei, superbo più. Qui regni,
poeta idolatrato;
ma lo stral per ferirti or tu m'hai dato.
(facendo alcuni passi verso lo scrigno, e cavando
la chiave datagli da Torquato)
Che fo'?... Ferir, ma non svelarsi è d'uopo.
Parer vile non voglio.
(scostandosi dal tavolino)
Un'altra mano
desti 'l sospetto, e se ne accusi.
(ripone la chiave in tasca)
Il mondo
creda vero il mio pianto
mentre del mio rival godo alle pene.
GHERARDO
Roberto? Permettete?
GERALDINI
(A tempo ei viene)
GHERARDO
Il Tasso vi cercò;
dopo uscì; dove andò? Che mai volea?
Parlò di me? Della Scandian che disse?
GERALDINI
Ah! Non disse soltanto!
GHERARDO
E che fe'?
GERALDINI
Scrisse
liberi versi, ardite brame.
GHERARDO
In scritto!
Ma questo, amico
GERALDINI
E un capital delitto.
GHERARDO
Dov'è il foglio?
GERALDINI
Mostrollo; indi geloso
lo chiuse.
GHERARDO
Dove?
GERALDINI
Là.
(accenna lo scrigno)
Ah! Se il Duca lo sa!
GHERARDO
Che credereste?
GERALDINI
Che imprudenze non ama,
che severo in sua Corte austeri brama
i costumi de' suoi.
GHERARDO
Dunque pensate...
GERALDINI
Già, il Tasso voi l'amate?
GHERARDO
Bagatelle!
Ma siete persuaso
che se quel foglio a caso
del Duca nella man fosse caduto,
il Tasso...
GERALDINI
Sventurato!... Era perduto!
(fa un cenno a Don Gherardo di tacere, e parte)
Scena settima
Don Gherardo solo; indi Ambrogio.
GHERARDO
Perduto! E che desidero?
(si accosta allo scrigno frugandosi in tasca)
Potessi!... E perché no? Lunge è la sala;
Ambrogio non udrà. Farò pian piano.
(cava un grimaldello e forza la serratura dello
scrigno, che nell'aprirsi fa un poco di rumore)
Mai sprovvisto non vo. Stai salda invano.
Ho aperti altri secreti.
(cerca, trova il foglio, e lo prende)
E questo... è questo!
Il più l'ho in mano; il men da farsi è il resto.
AMBROGIO
Mi parve di sentir certo rumore!...
Cosa ha preso, signore?
GHERARDO
Io?... Niente affatto.
AMBROGIO
Come! È lo scrigno aperto?
GHERARDO
Eh! tu sei matto.
AMBROGIO
Un foglio ha preso.
GHERARDO
Che ho da far d'un foglio?
AMBROGIO
Eh! per curiosità...
GHERARDO
Termina o aspetta
che un mio pari risponda col bastone.
AMBROGIO
Il foglio...
(opponendosi, affinché non parta)
GHERARDO
Zitto.
(stornandolo con impeto e scortesia)
AMBROGIO
Lo saprà il padrone.
Don Gherardo s'invola, seguito da Ambrogio per la
comune.
Camera nobile nell'appartamento di donna Eleonora sorella
del Duca, nelle cui pareti sono dipinti alcuni fatti espressi
da Torquato nel Goffredo.
Tre porte nel fondo adorne di ricche cortine. Tavolino con
ricco tappeto, libri, ed un vaso di fiori. Sedie intorno.
Scena ottava
Donna Eleonora si avvanza con un volume del poema
manoscritto di Torquato fra le mani.
ELEONORA
Fatal Goffredo! I versi tuoi fur strali
al mio povero cor! Sì, sì, Torquato,
per me l'amarti è fato;
né mi fu schermo il sangue avito e il trono.
Ah! invan lo niego... innamorata io sono.
Io l'udia ne' suoi bei carmi
ragionar d'illustri imprese;
ma cantando amori ed armi
parlò un guardo, e un cor l'intese.
Nol sapendo, del suo fuoco
io pian pian m'accendea...
Ah! l'amor che sembra un gioco
poi divien necessità.
Egli pianse, ed io piangea;
sospiravo ai suoi sospiri;
ah! Torquato, se deliri
il mio cor delirerà.
Deh! t'invola, o soave illusion
d'un disperato amore!
Sogno contenti, e m'avveleno il core.
Trono e corona involami
nel tuo furore, o sorte.
Solo quel core, ah! lasciami;
è mio fino alla morte.
Travolta in basso stato,
sorte, t'insulto e sfido.
Se resta a me Torquato,
tutto perdono a te.
Ah! sì: nell'urna gelida
palpiterà per me.
Ei tarda!... È lenta morte
il non vederlo! Ingiusta forse...
in seno un geloso sospetto...
Scena nona
La contessa Eleonora di Scandiano da una
delle porte laterali, e detta.
SCANDIANO
O mia duchessa!
Piangete sempre!.. Eh! via...
Io scommetto che amore...
ELEONORA
Amore! Oh, mia
contessa di Scandiano,
non vedete? Un'arcano
languor mi strugge a poco a poco!
SCANDIANO
Andiamo
al verone, o duchessa. Una solenne
richiesta udienza ottenne
l'ambasciador di Mantova. Il precede,
l'accompagna, lo segue
un corteggio magnifico,
fiore di gioventù, bei cavalieri
su bizzarri destrieri.
ELEONORA
Ah! No. Questi occhi
odiano il sol: non ponno
soffrirne il vivo raggio. Amica, andate:
la lieta pompa a me parrà più bella
poi narrata da voi.
SCANDIANO
Ma sola intanto
voi ritornate al pianto?
ELEONORA
No: son tranquilla.
SCANDIANO ed ELEONORA
Addio!
SCANDIANO
(La sventurata
ama il Tasso, e non spera esser riamata!)
(esce dalla porta laterale da cui entrò)
Scena decima
Eleonora sola, indi il Tasso che si arresta sulla porta di mezzo.
ELEONORA
(guardando la Scandiano mentre parte, e soffocando un
sospiro)
Ah! Torquato l'amo! Mio cor... tu tremi?
È il noto suon de' passi suoi! Soave
rimbalzo ignoto in sen provai repente...
E chi esprimer lo può, no, non lo sente.
Torquato fa due passi, e guardando la duchessa rimane in
silenzio.
ELEONORA
Torquato?... Immobil! Muto!
TORQUATO
Ah! tal mi rende
il rispetto, il timor.
ELEONORA
Timor! Son io
terribil tanto, che gli accenti agghiaccio?
TORQUATO
Un nume siete, e i numi adoro e taccio.
ELEONORA
Cortese troppo!
TORQUATO
Ah! No: Tasso non mente.
Di rispettoso amor la fiamma ardente
l'alma e i sensi m'ha vinto;
"Ma il viver bramo anzi che il foco estinto."
ELEONORA
L'egra salute mia
un conforto desìa.
Ne' vostri carmi sempre il trovò.
TORQUATO
Questo è il maggior mio vanto!
ELEONORA
Ma i poveri occhi miei... (Che pianser tanto!)
più. non son quei d'un dì.
TORQUATO
(Fatali sempre!)
ELEONORA
Voi che pari all'ingegno il core avete,
nel Goffredo scegliete
qual più tratto a voi piace, e a me, pietoso
voi lo leggete, e scenda
(dandogli il manoscritto)
la vostra voce a serenarmi 'l core.
(Che tanto palpitò!)
TORQUATO
(sfogliando il Poema)
(M'assisti, amore)
(leggendo)
"Canto secondo: Ottava
Decimasesta." Il tratto
scelgo d'Olindo... Il cor lo scrisse.
ELEONORA
E a udirlo
tutto s'apre il mio core. (Ei sé in Olindo,
me in Sofronia dipinse! Ah! della scelta
il secreto perché ravviso appieno!)
TORQUATO
(Che di me parlo, ah!, comprendesse almeno!)
Torquato in piedi comincia a leggere, Eleonora seduta,
in udirlo è presa da viva e crescente agitazione fino che
balza in piedi, e gli toglie il volume di mano.
"Colei Sofronia, Olindo egli si appella,
d'una cittade entrambi, e d'una fede;
ei che modesto è si, com'essa è bella,
brama assai, poco spera, e nulla chiede,
né sa scoprirsi, e non ardisce, ed ella
o lo sprezza..."
Eleonora toglie con amorosa impazienza il volume al Tasso.
ELEONORA
Non ti sprezzo, e se lo credi
troppo, ah! troppo ingiusto sei.
Tacqui, è ver; ma gli occhi miei
favellavano per me.
TORQUATO
Non mi sprezzi? Oh, me beato!
Fortunati affanni miei,
se pietà trovaste in lei
gioia egual per me non v'è!
ELEONORA
Crudel son io?
TORQUATO
Nol penso.
ELEONORA
E il labbro tuo m'accusa!
Lo può il tuo cor?
TORQUATO
L'immenso
lungo soffrir mi scusa.
A notti in duol vegliate
di succedean d'orrore.
Le smanie disperate
io soffocavo in core.
ELEONORA
(con dolce rimprovero)
Pur altre amasti...
TORQUATO
Ah! Mai.
No, mai: velai l'affetto,
che il caro tuo sembiante
arder mi fea nel petto.
Parvi amator vagante;
ma non amai che te.
Vederti, e ad altra volgersi,...
no, forza d'uom non è.
ELEONORA
Udirti, e ad altro volgermi...
No, forza in me non è!
Taci.
TORQUATO
Nol posso.
ELEONORA
Ah! Taci:
Torquato, siamo in corte:
le mura son loquaci;
taci, o mi dai la morte.
TORQUATO
Sì: tacerò; ma pria...
ELEONORA
T'affretta...
TORQUATO
Anima mia, dimmi...
ELEONORA
Saper che brami?
TORQUATO
Dal labbro tuo se m'ami.
ELEONORA
Cessa.
TORQUATO
Eleonora!
ELEONORA
Lasciami.
TORQUATO
M'ami? Di': m'ami?
ELEONORA
Ah! Si.
TORQUATO ed ELEONORA
L'affanno in cui penai
non chiamo più tiranno,
se prezzo è dell'affanno
questa felicità!
Se accanto a te, mia vita,
spirar mi fa la sorte,
bella per me la morte,
anima mia, sarà!
TORQUATO
Sogno fedel!
Scena undicesima
Un paggio del duca presentasi sulla porta di mezzo
con un plico suggellato. La duchessa parla ora al paggio,
ed ora furtivamente al Tasso.
ELEONORA
Torquato!
Mira. Il fratel t'invia?
Ah! guarda!
TORQUATO
(da sé ma con energia)
Io son riamato!
ELEONORA
Porgimi il foglio, e va.
Il paggio parte, Eleonora rompe i suggelli, legge un
foglio, indi cava dal seno dello stesso la carta in cui
scrisse Torquato nella scena quarta.
ELEONORA
(leggendo)
"Vedi come i Poeti
serbar sanno i segreti,
sorella!" Oh ciel! Che fia?
TORQUATO
Tremo!
ELEONORA
(scorrendo l'altro foglio)
"Quando sarà
che d'Eleonora mia
goder... "
TORQUATO
Che ascolto! Oh cielo!
ELEONORA
Tasso! È pur tuo lo scritto!
TORQUATO
Chi mi tradì?
ELEONORA
Delitto fia questo al Duca!
TORQUATO
Ah! certo
è il traditor Roberto!
Lo svenerò.
ELEONORA
S'appressa.
(guardando verso la porta; indi risoluta
e dignitosa a Torquato)
Simula: il vo'.
Scena dodicesima
Geraldini dal mezzo, indi la contessa, e Don Gherardo.
GERALDINI
Duchessa!
Di Mantova il sovrano
al Duca mio signore
chiese la vostra mano.
ELEONORA
Quando?
TORQUATO
(Gelo!)
GERALDINI
L'ambasciadore,
Che ier fra noi sen venne,
or che l'udienza ottenne
al Duca ne parlò.
ELEONORA
E mio fratello!
GERALDINI
A voi
nunzio me scelse.
TORQUATO
(Indegno!)
SCANDIANO
(abbracciando la duchessa, che rimane astratta)
Cara! Rapita a noi
passate in altro regno!
ELEONORA
Ma il Duca?
SCANDIANO
Il Duca v'ama.
Sciorsi da voi gli duole;
ma queste nozze brama;
ma implora un sì.
GERALDINI
Lo vuole.
GHERARDO
(entrando, con estrema volubilità,
mentre nessuno gli bada)
Ferrara abbandonate?
È chiacchiera? È mistero?
(alla duchessa)
Che a Mantova n'andate,
donna Eleonora, è vero?
Spacciar la posso! È sorda!
(alla Scandiano)
Perché la duchessina
udienza non accorda?
Che ha questa mattina?
Fra il quarto della luna?
Medesima fortuna!
(a Geraldini)
Cavalierin Roberto,
voi lo sapete, certo,
il prence mantovano
ha chiesta la sua mano;
risposto avrà smorfiosa:
non voglio farmi sposa?
Così restare io voglio!
Dura come uno scoglio!
E nulla ancor pescai!
(a Torquato)
Bel tema da sonetto!
Ma non ne scrissi mai!
Torquato, ci scommetto,
già un canto epitalamico
ex-tempore pensò.
L'ho indovinata?
TORQUATO
(afferrandogli, e crollandogli la mano)
No.
GHERARDO
(indietreggiando impaurito)
Misericordia! Idrofobo
il vate diventò!
La Scandiano è presso la duchessa. Torquato trae a sé
Geraldini. Don Gherardo osserva curiosamente.
TORQUATO
Alma ingrata! Traditore!
Cosi fede a me serbasti?
I misteri dell'amore
eran sacri, e li svelasti!
Perché aprirmi tal ferita,
e non togliermi la vita?
Esecrato in tutti i secoli
il tuo nome resterà.
GERALDINI
Calma, calma il tuo furore;
no, Torquato ingiusto sei.
Parla a me sul labbro il core;
non ho infranti i giuri miei.
Mi avvelena il tuo sospetto;
ma cangiar non so d'aspetto;
innocente è in sen quest'anima;
tutto il tempo scoprirà.
SCANDIANO
(da sé)
Se un sorriso di favore
non m'invola la fortuna
sarà mio del Tasso il core;
non avrò rivale alcuna;
e immortal ne' carmi suoi,
come il nome degli eroi,
a sfidar l'obblio de' secoli
il mio nome passerà.
ELEONORA
(da se')
Lui scordar! Cangiar d'amore!
Mentir gioia immersa in pianto!
Io lasciarlo? Ah! non ho core!
Io lasciarlo? E m'ama tanto!
Consumar, morir mi sento;
morte invoca il mio tormento.
Ah! d'amore in me una vittima
poi la storia accennerà.
GHERARDO
(da se)
Ah! perché non son pittore!
Che bel quadro interessante!
(guardando la duchessa, il Tasso, poi la Scandiano,
indi Geraldini)
Quello sviene per amore;
questo d'ira è tremolante.
La contessa si consola
perché spera restar sola;
ma quest'altro da che reciti...
per adesso non si sa.
TORQUATO
(a Geraldini)
Falso amico! Al Duca in mano
tu non desti i versi miei?
GERALDINI
No: lo giuro!
TORQUATO
Un vil tu sei!
GHERARDO
(Or capisco!)
GERALDINI
Forsennato!
TORQUATO
(snudando la spada)
Mano all'armi!
GHERARDO
(da lontano)
Ma si freni!
SCANDIANO
Imprudente!
ELEONORA
Ah! no, Torquato!
TORQUATO
Menti.
ELEONORA
Cessa.
TORQUATO
Ch'io lo sveni!
ELEONORA e SCANDIANO
Per pietà!
TORQUATO
Più non intendo.
ELEONORA e SCANDIANO
Ah! Roberto!
GERALDINI
(dignitoso, avendo snudata la spada)
Io mi difendo.
ELEONORA
Don Gherardo, riparate.
SCANDIANO
Dividete, Don Gherardo.
GHERARDO
Quando piovono stoccate
volontieri io non m'azzardo.
TORQUATO
Vile!
GERALDINI
Trema!
GHERARDO
Eh! via, ragazzi!
(alla Scandiano)
Contessina! Se mi sbuca
per voi moro.
SCANDIANO
Siete pazzi?
ELEONORA e GERALDINI
Trema.
TORQUATO, GHERARDO e SCANDIANO
Ferma!
Scena ultima
Paggi e cortigiani dalla porta di mezzo, precedendo il Duca.
CORO
Il duca.
GERALDINI, ELEONORA, TORQUATO, GHERARDO e
SCANDIANO
Il Duca!
DUCA
Fra due dame, e in corte mia?
(a Geraldini)
Cavalier?
GERALDINI
(rispettoso)
Mi difendea.
DUCA
Così stolta scortesia
in voi, Tasso, non credea!
TORQUATO
Duca!... È ver. Fu un punto. Ho errato.
Ma...
ELEONORA
Fratello!
DUCA
È perdonato.
(dando da baciare la mano a Torquato, indi volgendosi
con simulata disinvoltura ad Eleonora)
Già sentiste da Roberto,
che di Mantova il signore
sa, per fama, il vostro merto;
e da voi vuol mano e core.
ELEONORA
Ma, fratello...
DUCA
Anch'io lo bramo.
ELEONORA
Ma se...
DUCA
V'amo. V'amo, e regno.
ELEONORA
Ma languente...
DUCA
Voi vorrete
dal mio core amor, non sdegno.
ELEONORA e TORQUATO
(Ciel! Qual lampo!)
DUCA
Riflettete.
Lo comprendo: è serio il passo;
ma... venite a Belriguardo,
venga unito Don Gherardo,
la Scandian, Roberto, il Tasso.
In quell'aura assai più pura,
fra il sorriso di natura,
voi, che saggi ognor pensate,
la duchessa consigliate
che si pieghi al voler mio.
Tutti meco. Lo desìo.
Tutti lieti.
GHERARDO
Oh! certamente!
(V'è del buio?)
SCANDIANO ed GERALDINI
(È allegro o mente?)
TORQUATO ed ELEONORA
(Non mi fido!)
GHERARDO
A che tardiamo?
DUCA
(Veglio al varco) Andiamo.
CORO
Andiamo.
DUCA
(a Geraldini, a Torquato)
Voi tornate in amistà.
ELEONORA e TORQUATO
(Ah! che il cor morir mi fa!)
GERALDINI
(L'ira sua lo colpirà)
SCANDIANO e GHERARDO
(L'alma incerta in sen mi sta)
DUCA
(Questo vel si squarcerà)
TORQUATO ed ELEONORA
(Non v'è strazio, non v'è affanno
che sia pari al mio tormento!
L'alma in sen morir mi sento,
e non posso, oh Dio! morir.
Ma del mio destin tiranno
questo cor sarà più forte;
chiamerà lei/lui sola/solo in morte
con l'estremo mio sospir)
GERALDINI
(Già un baleno di vendetta
rende certo il mio contento!
L'alma brilla al suo lamento,
è mia gioia il suo sospir.
D'un destin che gli sorride
l'ira mia sarà più forte;
è segnata la sua sorte:
bramar morte e non morir)
DUCA e CORO
A Belriguardo andiamo:
ponete all'ire un freno.
Alle delizie in seno
la calma tornerà.
ELEONORA
Rendermi 'l cor beato,
perché, destin spietato,
per poi cangiarmi in lagrime
tanta felicità?
Quel mentitor sorriso
velar sa l'ire appieno;
ma guai se al riso in seno
il turbin scoppierà!
GERALDINI
Da mille invidiato
non sarai più, Torquato.
Vedrò cangiarsi in lagrime
la tua felicità.
Quel mentitor sorriso
velar sa l'ire appieno;
ma forse al riso in seno
il turbin scoppierà!
SCANDIANO
Invano il cor piagato
le geme per Torquato;
cessi dal suo delirio;
o a lei crudel sarà.
Quel mentitor sorriso
velar sa l'ire appieno;
ma guai se al riso in seno
il turbin scoppierà!
TORQUATO
Un punto sol beato
visse il tuo cor, Torquato;
ecco cangiarsi in lagrime
la tua felicità!
Velar non sa il sorriso
l'ira che m'arde in seno.
Ma per sfogarmi appieno
l'istante spunterà.
GHERARDO
Capisco che l'imbroglio
è l'opera del foglio,
che il Duca come un fulmine
ha balestrato qua;
pur di domande e dubbi
empir ne posso un tomo...
Ma il tempo è galantuomo,
e tutto scoprirà.
I paggi ed i cortigiani si schierano in due ale per far
passare dalla porta di mezzo il Duca, la duchessa, e la
Scandiano; in questo si cala la tenda.
ATTO SECONDO
Galleria terrena in Belriguardo con vista di parte dei ducali
giardini. Manca poco alla sera.
Scena prima
I cortigiani da diverse parti entrano in scena, e con precauzione
si aggruppano sull'innanzi parlando fra loro.
CORO I
Ma lo scrigno di Torquato
chi ha forzato?
CORO II
Non si sa.
Ma quel foglio a lui rubato
che diceva?
CORO I
Non si sa.
TUTTI
Certo sta, che da quel foglio
si sviluppa un grand'imbroglio;
pur ciascuno ci risponde
serio serio un: non si sa.
Ah! il cervel ci si confonde,
e agli antipodi sen va!...
Ma perché il Duca
qui a Belriguardo
ridente il labbro,
lieto lo sguardo
all'improvviso
volar ci fe'?
Non lo ravviso;
ma v'è un perché!
CORO I
Quasi direi...
CORO II
Scommetterei...
TUTTI
Che cova in petto
cupo un progetto...
ma l'ore passano;
si scoprirà;
quel ch'è enigmatico
chiaro sarà.
CORO I
Dunque, pazienza...
CORO II
Ma non cessate...
CORO I
Con gran prudenza
interrogate.
TUTTI
E pria dell'alba,
dubbio non v'è;
ci saran cogniti
tutti i perché.
Scena seconda
S'ode la voce della contessa di Scandiano, ch'entra in scena
volendo sfuggire Don Gherardo. I cortigiani in attenzione
si ritirano, e a quando a quando si avvanzano per udire.
GHERARDO
Contessa! Avete torto.
SCANDIANO
Io non ho torto mai.
GHERARDO
Ma...
SCANDIANO
L'altrui scrigno
forzar, trarne gelose
segretissime carte, e del più grande
italian poeta
farsi vil delatore,
nero è delitto.
GHERARDO
Il delinquente è amore.
SCANDIANO
Amore? E che sognasti?
GHERARDO
Io mi credea
che l'autor del Goffredo
delirasse per voi. D'Eleonora
il nome m'ingannò; ma il signor Duca
sa legger meglio, e vide che favella
della Duchessa...
SCANDIANO
No.
(con energia)
GHERARDO
Della sorella.
(con tuono di sicurezza)
SCANDIANO
No: sbaglia il Duca. Ama sol me. Lo svela
il suo pudor se a me s'appressa. Il caldo
immenso affetto d'altro nome ei vela
che propizia fortuna or gli offre in corte;
sa come sospettoso è il mio consorte.
GHERARDO
Dunque...
SCANDIANO
M'ama, e il cor mio
cela le oneste sue fiamme profonde;
ma con l'amore all'amor suo risponde.
GHERARDO
Laonde io son...
SCANDIANO
Scartato.
GHERARDO
Ed il mio caso...
SCANDIANO
E un caso disperato.
(parte rapidamente)
GHERARDO
Oh, rabbia!
(nel volgersi s'incontra nel Duca)
Scena terza
Il Duca, e detto, e i cortigiani nascosti.
DUCA
Don Gherardo? Eleonora
vedeste?
GHERARDO
Altezza, no.
DUCA
E sapete ove stia?
GHERARDO
Davver nol so.
DUCA
Impossibile par! Tutto sapete!
GHERARDO
Eh! non fo per lodarmi...
Ma scoprir so gran cose!
E quel foglio del Tasso, quello scandalo
che da me fu scoverto,
fu un'impresa sublime.
DUCA
Oh! certo... certo.
Degna di voi.
GHERARDO
Grazie, mio prence!
DUCA
Ed amo
che voi sappiate, e chi v'imita...
GHERARDO
Dica.
DUCA
Che nel mio petto ho un'alma della viltà nimica;
che regno, e regnar so.
GHERARDO
Capisco.
DUCA
Sdegno
mi destano i curiosi, e abborro a morte
i delatori, e non li voglio in corte.
Parte dando un'occhiata severa a Don Gherardo;
i cortigiani, che da lunge hanno visto ed udito, lentamente
avanzandosi, circondano Don Gherardo.
CORO
Don Gherardo! Il vaticinio
alla fin restò compito.
Il curioso fu punito
della sua curiosità.
Vi compiango. Il caso è strano!
La Scandiano v'ha scartato.
A un poeta, ad un Torquato
v'ha posposto la beltà!
GHERARDO
(scuotendosi dall'umiliazione in cui era rimasto)
Io posposto ad un Torquato,
io che sono un titolato,
che per stipite discesi
da tre conti e sei marchesi,
e per linea trasversale
son di razza baronale?
A un bisbetico, a un astratto,
perdi-giorno, chiacchierone,
imprudente, mezzo- matto,
che si crede un Cicerone,
io posposto? Io che son critico,
diplomatico, politico,
numismatico, geografo,
archeologo, istoriografo,
metafisico, idrostatico,
nel digesto catedratico
epigrafico, botanico,
anatomico, meccanico,
algebraico, pubblicista,
finanziere, economista,
e intendente di perfette
ceremonie ed etichette?
Mia bellissima Scandiano,
nello scegliere t'inganni...
CORO
Forse sol vi tien lontano
per i vostri sessant'anni...
GHERARDO
Che sessanta! Cinquantotto;
e ad un nobile, e ad un dotto
non si conta mai l'età.
CORO
Son momenti ancora i secoli
se li guardano i sapienti;
ma son secoli i momenti
se li guarda la beltà.
GHERARDO
Ma poniam, che sian sessanta;
fra i più giovani campioni
come me chi mai si vanta
di cartocci, e cavazioni?
Nessun balla, e ci scommetto,
più maestoso il minuetto.
Se vo a piedi, ai piedi ho l'ale,
e a cavallo ho un certo orgoglio,
che rassembro tale e quale
Marc'Aurelio in Campidoglio.
Fresco, vegeto, robusto,
io mi abbiglio di buon gusto,
ed il Tasso, poverino!
magro, magro, sottilino,
ogni dì fa una gran via
verso l'asma e l'etisìa.
Lo compiango, e l'ho con lei
che fu cieca ai merti miei,
e si crede idolatrata,
e non sa ch'è corbellata;
ché a riflettere ben bene,
quelle scuse, quei lamenti,
quelle smorfie, quelle scene,
quei languor, quei svenimenti
provan, proprio ad evidenza,
che nel cor la preferenza
come a un'idolo d'amore
delle nostre Eleonore
dona il Tasso solo a quella,
che del Duca è la sorella,
e quell'altra equivocò,
e veder glie la farò,
e vendetta appien n'avrò.
CORO
Qual vendetta?
GHERARDO
Cercherò.
CORO
Che farete?
GHERARDO
Ancor nol so.
Ma instancabile sarò
finché a capo ne verrò.
Amici! Ah! voi solleciti
d'intorno pur guardate:
gli angoli più reconditi,
le mura interrogate,
e dalle mute tenebre
il vero scoppierà,
e l'orgogliosa femina
di stucco resterà.
CORO
Sguardi, dimande, indagini
noi non risparmieremo.
Fin del silenzio interpreti
il vero cercheremo,
e questa cifra incognita
alfin si scioglierà.
Tardi l'altera femina
delusa piangerà.
Partono tutti da varie bande divisi, ma richiamati
parecchie volte i cavalieri da Don Gherardo,
s'impazientano e gridano.
CORO
Ma di ciarlar cessate.
Partir, deh! ci lasciate.
Ché se restiamo immobili
mai nulla si saprà.
GHERARDO
Andate, andate, andate:
d'un cavalier pietà.
Partono.
Scena quarta
La duchessa ed Ambrogio.
ELEONORA
Tu non m'inganni?
AMBROGIO
Altezza!
con gli occhi il vidi.
ELEONORA
Il cavalier Roberto
accusarsi non può?
AMBROGIO
No, no: per certo!
Io sono intimamente persuaso
che Don Gherardo è il ladro; ed ecco il caso.
Perché da lei sen venga,
come bramò, stamane, o mia signora,
da me chiamato, accelerando il passo,
esce dalle sue stanze il signor Tasso;
e solo il cavalier vi resta allora.
Del cavaliere in traccia
nella più interna stanza
il curioso s'avanza. Geraldini
parte; io lo complimento
fin sulla porta; torno e un botto sento,
un crac! Fo un salto; corro dentro, e miro
lo scrigno spalancato...
e il mio padron lo chiude. Un certo foglio
tien Don Gherardo; invan riaver lo voglio;
ché, pieno d'insolenza
minaccia bastonarmi in mia presenza.
M'attraverso, mi spinge, scappa via,
lo seguo, entra dal Duca...
Felicissima notte!
Esamino lo scrigno... era forzato;
dunque del foglio che ne fu rubato
solo il curioso sospettar conviene...
Mi pare, altezza, di concluder bene.
ELEONORA
Tutto svelasti al Tasso?
AMBROGIO
Dall'a fino alla zeta io gliel'ho detta.
ELEONORA
Ed egli?
AMBROGIO
Sbuffa, e medita vendetta su Don Gherardo.
ELEONORA
No... digli...
(nel momento che vuole esprimere ciò che dee dire
al Tasso, mostra di cangiar pensiero, e traendo
Ambrogio sull'innanzi gli dice sottovoce)
Roberto... cerca, e segreto a melo invia... Ma taci
con Torquato... M'intendi?
AMBROGIO
Capisco quel che vuole:
(con tuono di capacità e malizia)
Son uom di mondo, e bastan due parole.
Ambrogio parte.
Scena quinta
Eleonora sola; indi Geraldini.
ELEONORA
Misera! Un bivio orrendo
si presenta al mio cor. L'amor di Tasso
più mistero non è. Se resto... Oh, Dio!
Conosco il fratel mio;
gelar mi fa! Se parto...
Ah! conosco quel core!
IL Tasso si dispera!... Il Tasso muore!
Bivio crudel! No: sceglier non mi fido.
O sdegno il Duca, o il caro amante uccido.
GERALDINI
(con umile, e modesto contegno)
Duchessa?
ELEONORA
Tutto io so.
GERALDINI
(con simulata dolcezza)
Scuso Torquato.
Era giusto il furor.
ELEONORA
Sì; ma imprudente
cavalier, tutto io so. Siete innocente.
Ma quell'incauto foglio...
GERALDINI
Era chiuso. In mia man n'era la chiave.
Ché, a gran stento, l'amico,
che a me il mostrò, cesse ai consigli miei;
partito Don Gherardo, arso l'avrei.
ELEONORA
Ah! Fu destino. Io bramo,
voglio sopiti i vostri sdegni.
GERALDINI
Ah! Forse
nol crederà!
ELEONORA
Tutto svelava il servo.
GERALDINI
(Io trionfo!)
ELEONORA
M'udite: Eleonora vi prega. Ite dal Tasso,
l'abbracciate, e a lui dite,
che se m'ama... già tutto,
(quasi pentita, indi interamente fidandosi a lui)
sì, tutto è noto a voi...
GERALDINI
Sublime arcano!
Nemmen l'aura il saprà.
ELEONORA
Dite ch'io voglio
che a voi ritorni amico.
GERALDINI
Oh! caro nome!
Se a me lo rende io son felice appieno!
ELEONORA
Tanto l'amate?
GERALDINI
Oh! mi leggeste in seno!
Io volo...
ELEONORA
Udite ancor se in sen vi parla
vera amistà per l'infelice. Io deggio
scegliere odiate nozze,
o l'ira del fratello,
e risolvere non so. L'estrema volta
favellar con Torquato,
udir che mi consiglia è mio desìo
per restar qui nel pianto... o dirgli addio.
Ma...
GERALDINI
Intendo.
ELEONORA
A lui...
GERALDINI
Lo svelerò.
ELEONORA
Roberto!
È un gran segreto!
GERALDINI
Orgoglio
sento che a me si affida.
ELEONORA
(pregando)
A tutti oscuro
impenetrabil sempre
GERALDINI
(dignitoso)
A tutti: il giuro.
ELEONORA
Quando alla notte bruna
nel bosco degli allori
da un raggio della luna
temprati fian gli orrori,
ove la fonte mormora
che crebbe al nostro pianto,
nell'ombra e nel silenzio
venga a quell'onda accanto;
ma in cor le smanie prema;
ma solo a me verrà:
là, per la volta estrema,
pianger con me potrà.
GERALDINI
Del vostro cor, signora,
tutto l'affanno io sento.
Pensando a chi vi adora
è vostro il suo tormento.
Vi piomba in seno il palpito
dell'amator riamato;
ma di celar le lagrime,
crudel, v'impera il fato,
e in sen ristretto il pianto
morire il cor vi fa;
così vi strazia intanto
amor, dover, pietà.
ELEONORA
Ma se un destin spietato
mi forzi a dirgli addio!
Al povero Torquato chi resta?
GERALDINI
(con simulato entusiasmo)
Un core. Il mio.
ELEONORA
Se un cor gli resta, vittima
dei vili non sarà.
Versar potrà le lagrime
dell'amistà nel seno,
di me che resto a gemere
potrà parlare almeno.
Voi calmerete i spasimi
d'un disperato amore;
nei giorni del dolore
è un nume l'amistà.
GERALDINI
Aperto alle sue lagrime
sempre sarà il mio seno;
d'un cor pietoso il misero
avrà il conforto almeno.
Se appien calmare i spasimi
io non saprò d'amore,
dividerne il dolore
l'anima mia saprà.
ELEONORA
Meno infelice or sono;
tutto al destin perdono.
Lo affido a te.
GERALDINI
(Fia polvere,
che il vento sperderà)
ELEONORA
A glorioso segno
guida l'illustre ingegno;
maggior non v'è. L'Italia
l'avrà per te.
GERALDINI
(Cadrà)
ELEONORA
Se d'invidia all'arti, e all'armi
involar saprai Torquato
del tesoro de' suoi carmi
l'universo a te fia grato.
Ti rammenta d'Eleonora,
che per lui pietade implora,
e miei voti, i pianti miei
fin che vivi, ah! non scordar.
GERALDINI
(Al trionfo, ah! sì, lo spero,
la fortuna alfin m'affretta.
Spiegherò su quell'altiero
un sorriso di vendetta)
Non temer ch'io non rammenti
i tuoi voti, i tuoi tormenti:
come il cor per te s'affanni
Non potresti immaginar.
Partono.
Scena sesta
Il Duca solo concentrato ne'suoi pensieri; indi Geraldini.
DUCA
Io veglio. Incauti. Una vendetta illustre,
misteriosa io devo a me; l'aspetta
il mio cor... la sospira;
l'otterran congiurati ingegno ed ira.
Debole donna! Io ti compiango. Al core
non si comanda; il so... ma il Tasso... il Tasso.
Ne' miei lacci cadrà. Misero! Io l'amo,
l'amo; ma forte, o più prudente il bramo.
Di politica nebbia
s'adombri orribil vero.
Ed ai posteri sia fola, o mistero.
Gelosi, invidi, vili,
che odiate il gran poeta,
io mi giovo di voi, ma vi conosco.
La sua colpa è il suo merto...
Stolti e maligni! Ecco il più rio. Roberto?
All'antica amistà tornò Torquato?
GERALDINI
La duchessa il volea,
(con malizia, ma simulando schiettezza)
e negarmi ei potea
un amplesso implorato? Il caro cenno
fu in suo cor più possente
che incolpabil sapermi ed innocente.
DUCA
(Innocente!)
E fra queste
aure sì liete ancor solingo geme?
GERALDINI
Del vostro sdegno ei teme;
ed or che all'ombra bruna
nel bosco degli allori
temprati fian gli orrori
dal raggio della luna, ei là s'avvia
presso fonde cadenti
per insegnare all'eco i suoi lamenti.
DUCA
Solo?
GERALDINI
Lo credo... almen. Signor!... Non oso.
DUCA
Parla.
GERALDINI
Inatteso a lui, mentre sospira
del perdon vostro incerto,
mostrarvi, e con soavi
parole confortarlo
com'è vostro real dolce costume
con chi s'affanna... opra sarìa d'un Nume.
DUCA
(Infernal arte!) Quel tuo cor pietoso
mai smentirsi non sa. Bello è il consiglio;
lo seguirò.
GERALDINI
Grato, o mio prence!... (o gioia!)
(baciando la mano al Duca)
DUCA
Del piacer non sperato
dal dolente Torquato
spettator vieni.
(prendendolo per mano)
GERALDINI
(Oh! non previsto scoglio!
Me diran traditore!) Ah! prence...
DUCA
(severo)
Il voglio.
Partono insieme.
Boschetto di allori. In fondo un Apollo citaredo in marmo
sopra una gran fonte da cui sgorgano limpide, e copiose
acque. La luna dirada alquanto l'ombra della notte.
Scena settima
Torquato lentamente s'inoltra. Don Gherardo
da lontano lo segue guardingo; indi la duchessa.
TORQUATO
"Notte che stendi intorno
il fosco manto in quest'oscuro cielo
mentr'io di vero amore avvampo e gelo,"
e tu pietosa luna,
che tempri co' bei raggi 'l muto orrore
"all'ombra della notte umida e bruna,"
a pianger vengo ove m'invita amore;
ma l'onda sola e il vento
"risponde mormorando al mio lamento."
GHERARDO
(Solo! A quest'ora! E qui! Dorma chi vuole.
Un perché vi sarà. La fida io sono
ombra del corpo suo; non l'abbandono)
ELEONORA
(chiamando dolcemente)
Torquato!
GHERARDO
(Crescon gl'interlocutori)
TORQUATO
Sei tu?
ELEONORA
Non mi ravvisi?
GHERARDO
(La duchessina! La Scandian si avvisi)
Don Gherardo traversa la scena in fondo in punta di
piedi.
ELEONORA
Tasso!
TORQUATO
Ah! di': non è questa
una beata illusion fallace?
Ma se tu sei, d'amor stella verace,
che dolce splendi a inebriarmi il seno,
"il mio audace pensier chi tiene a freno?"
ELEONORA
Assai si delirò. D'amari accenti
in sì cari momenti
non s'oda il suon; ma ci tradiva entrambi
un improvvido amor. Spezzato il core
dirlo non osa... e dirlo è forza! O mio...
O mio fedel ...
TORQUATO
Segui, mia vita
ELEONORA
Addio.
TORQUATO
E m'ami?
ELEONORA
E perché t'amo
noi... lo dirò... noi ci dobbiam lasciare.
TORQUATO
Poco dunque ti pare
che infelice io sia,
che a crescer vieni la miseria mia?
ELEONORA
Mai d'altri non sarà; ma tua, Torquato,
esser non può Eleonora.
TORQUATO
Oh, morte!
ELEONORA
Il vuole
cauta prudenza; onde in oblio sian posti
i miei deliri, e i tuoi...
Tasso!... Tu déi partir!
TORQUATO
Dirlo... tu puoi?
Ohimè! Ben son di sasso
poiché questa novella non m'uccide!
ELEONORA
I cor che amore unì, destin divide!
TORQUATO
Solo... deserto!... Ah! meco vieni: fuggi.
ELEONORA
Follia sarebbe.
TORQUATO
E a me che resta?
ELEONORA
Il vivo
sublime ingegno... e il pianto mio.
TORQUATO
Né vuoi
a me d'empia fortuna orrendo gioco,
premio alla fede, e refrigerio al fuoco
lasciar nulla... o crudele?
ELEONORA
In oro avvolti
(gli dà un anello)
t'abbi i capelli miei.
TORQUATO
O non sperato
invidiabil dono!
D'ardenti nodi or sono
cinto per sempre.
ELEONORA
Rapidi gl'istanti
è inosservati fuggono agli amanti.
Fa cor... (Oh, strazio!)
TORQUATO
E che dir vuoi, mio bene?
ELEONORA
Che crudo è il fato... e dirci addio conviene.
TORQUATO
Sì... per sempre!
ELEONORA
Ah! M'odi, m'odi.
Già la morte è nel mio core;
ma una lagrima d'amore
il mio cener bagnerà.
Di'... lo spero?
TORQUATO
Oh, cruda! E godi
nel mirarmi 'l core infranto?
Ma prometter non può il pianto
chi più lagrime non ha.
TORQUATO ed ELEONORA
(con improvviso slancio di entusiasmo)
Ah! se resta un sol momento,
se un addio comanda il fato,
ai deliri del contento
si abbandoni 'l cor beato.
A te accanto io tutto obblìo
le mie pene, il destin mio.
Tuo per sempre è questo core,
il tuo cor sol mio sarà;
questo palpito d'amore
morte sola spegnerà.
Scena ultima
Da una parte comparisce fra gli alberi il Duca,
al cui fianco è Geraldini, e da un'altra la Scandiano
condotta per mano da Don Gherardo.
GERALDINI
Solo ei non è.
DUCA
(fra loro sottovoce)
Silenzio.
GHERARDO
È vero, o non è vero?
SCANDIANO
Tacete.
TORQUATO
(ad Eleonora)
Io di dividermi
forza non ho, né spero.
GHERARDO
(alla Scandiano)
Vi basta?
ELEONORA
Ah! parti. Ah! lasciami.
SCANDIANO
(Infido!)
TORQUATO
Il chiedi invano.
GERALDINI
(al Duca)
Dalla Scandian dividesi.
DUCA
(a Geraldini con ironia)
Credi?
TORQUATO
Su questa mano
io pria lasciar vo' l'anima.
GHERARDO
(alla Scandiano)
(È poco ancor?)
ELEONORA
Più barbaro
fai quest'addio, mia vita.
TORQUATO
Sei mia. Sfido le folgori.
ELEONORA
Lasciami, o imploro aita.
TORQUATO
Vieni. Mi segui. Involati
da chi ti opprime.
DUCA
(con voce terribile)
Olà.
Al grido del Duca la scena s'empie di Svizzeri armati e di
Paggi con doppieri accesi. Quadro.
Sventura orrenda! Ahi, misero!
di senno uscì Torquato!
(alle guardie)
Voi lo traete in carcere.
Di notte sia vegliato.
TORQUATO
(ricusando la spada ad una guardia)
Il brando! No.
ELEONORA
(a mezza voce)
Vuoi perdermi?
DUCA
(serio)
Duchessa!
TORQUATO
(gittando la spada a piedi di Eleonora)
Il brando a te.
DUCA
Traetelo.
GERALDINI
Placatevi.
DUCA
È stolto.
TORQUATO
Io stolto!
ELEONORA
Oh, Dio!
SCANDIANO
Pietà.
ELEONORA
Per queste lagrime.
GHERARDO e GERALDINI
Signor!
ELEONORA
Fratello mio!
TORQUATO
Io stolto?
DUCA
Sì.
TORQUATO
(al Duca)
Vo al carcere;
ma pria rispondi a me.
O tu, che danni amore,
di sasso il cor sortisti, o non hai core.
Sei belva in uman volto,
se chi schiavo è d'amor tu chiami stolto;
ma no; ché nelle selve
sospirano d'amore anche le belve.
Vòi sangue? Inerme è il petto;
ma tòrmi il ben non puoi dell'intelletto.
Il senno è don di Dio;
finché Dio non mel toglie il senno è mio.
ELEONORA
(Ah! Fui tradita! Il perfido
gode in segreto intanto.
(guardando Geraldini)
Gli frutti sangue il pianto
che a noi versar farà)
GERALDINI
(Ei cadde al fin. Dileguasi
de' sogni suoi l'incanto!
Mentir m'è forza il pianto,
e simular pietà)
GHERARDO
(Ohimé! Questa è una lagrima
(toccandosi gli occhi)
che in giù mi gronda intanto!
Piango, non uso al pianto;
l'odio, e mi fa pietà)
SCANDIANO
(Morir mi fa quel pianto;
né può trovar pietà)
DUCA
(D'amore il nodo infranto il tempo renderà)
TORQUATO
(tergendosi con dispetto una lagrima)
(Si celi agli empj il pianto;
lo crederian viltà)
ELEONORA
Ah! fratel mio!...
TORQUATO
Che tenti?
Non t'abbassare ai prieghi.
Risparmia i tuoi lamenti;
quell'aspro cor non pieghi.
GERALDINI
Torquato! ...
TORQUATO
No, no. Guardami.
Ti leggo in cor.
GERALDINI
Ma credi...
TORQUATO
Credo che in me la vittima
del tuo furor tu vedi.
GERALDINI e GHERARDO
Oh, ciel!
TORQUATO
Vili! Lasciatemi.
Tradirmi, e pietà fingere
eccesso è d'empietà.
DUCA
Si compia il cenno. Al carcere.
ELEONORA
Morendo il cor mi sta.
TORQUATO
(guardando Eleonora che piange)
Ah! per quel pianto, il carcere
chi non m'invidierà?
ELEONORA e TORQUATO
(Le smanie di quest'anima,
la crudeltà del fato,
fremente in cor la storia
col sangue scriverà.
E il non mertato fulmine,
l'addio così spietato
farà versar le lagrime
in più lontana età)
DUCA
(A paventarmi imparino
quei che scordar ch'io regno;
sarebbe con gl'incauti
fatal la mia pietà.
Pe' i vili, ch'or trionfano
maturasi il mio sdegno;
chi sogna in alto ascendere,
destandosi cadrà)
GERALDINI
(Or che lo vedo in polvere
io son contento appieno;
di favorito orgoglio
più pompa non farà;
ma pure a quelle lagrime
commosso ho il core in seno;
ma pur non so reprimere
un moto di pietà)
GHERARDO
(alla Scandiano)
Contessa! Nell'ipotesi
che sia 'l cervel smarrito,
fuggite dal pericolo,
tiratevi più in qua;
che se divien frenetico
tutto è per voi finito.
Guardate come è torbido!
Prudenza, per pietà.
SCANDIANO
(No, che a novello strazio
loco non ha Torquato.
Ma pur l'insulta un perfido
con simular pietà!
A pene troppo orribili
lo riserbava il fato..)
(a Don Gherardo)
Ma piangere lasciatemi
almen con libertà.
TORQUATO
Addio, mia vita, addio!
In ciel ti rivedrò.
ELEONORA
M'affretto al ciel,
ben mio; io là t'aspetterò.
DUCA
Si tronchi quell'addio.
Compito il cenno io vo'.
Il Tasso è circondato dagli Svizzeri; Eleonora cade
svenuta in braccio della Scandiano,- il Duca con
un'occhiata fiera e maestosa umilia la gioja atroce di
Geraldini, e l'esultanza di Don Gherardo.
ATTO TERZO
Camera destinata in carcere a Torquato. Nel fondo una
grata di sbarre di ferro, ed una porta, che mette all'interno
del locale. Uno scaffale di libri in disordine. Lateralmente
una porta che introduce alla stanza attigua di Torquato.
Un rozzo tavolino con fasci di carte, volumi, e recapito da
scrivere. Una scranna. Dall'alto pende una lampada che
illumina debolmente l'oscurità delle vecchie mura.
Scena unica
Torquato esce dalla stanza attigua concentrato in
melanconica meditazione; indi Coro di Cavalieri della
Corte del duca Alfonso II in lontananza, e poi in scena.
TORQUATO
Qual son! Qual fui? Che chiedo?
Ove mi trovo?
Chi mi guidò? Chi chiuse?
Lasso! Chi mi affidò? Chi mi deluse?
Per me pietade è spenta, e dove langue
vil volgo ed egro, per pietà raccolto,
in carcer tetro e sotto aspro governo
fatto d'ingorda plebe è preda e scherno
io qui languisco a morte
favola e gioco vil d'avversa sorte!
Sull'Arno i miei nemici
congiuran contro me; l'irrequieto
demone ignoto non mi dà mai pace;
stolto me giura il mondo... e amor non tace!
Perché dell'aure in sen
non volano i sospir?
A te de' miei martir
l'eco verrebbe almen,
mio dolce amore!
Stolto mi chiama, il so,
chi al carcer mi dannò;
ma s'ama, e sempre te,
no, stolto il cor non è;
ragiona il core.
Varcato è un lustro!... E un anno!...
(E un anno ancora!...
Forse più a me non penserà Eleonora!
Forse... Ahi! rabbia!... Dà fede
all'empio grido e delirar me crede!
Empio grido fatal, per cui tradito,
vergognando, son chiuso in queste soglie,
ed ella piange, e i lacci miei non scioglie!
Comincia ad udirsi da lontano un coro che va mano
mano avvicinandosi alle mura del carcere.
CORO
Viva il Tasso!
TORQUATO
Lontan... lontan... M'inganno?
Echeggiava il mio nome!
CORO
In Campidoglio
crebber lauri alla sua chioma.
TORQUATO
Che ascolto!
Si apre con fragore la porta in fondo, ed entrano
in folla i Cavalieri, e circondano il Tasso.
CORO
Da quel colle ov'ebbe il soglio
la sua man ti stende Roma.
Là veloce affretta il passo;
che al tuo crin serbata è, o Tasso,
l'invidiata eterna fronda
che Petrarca incoronò;
né del Tebro sulla sponda
d'altro vate il crin cerchiò.
Sciolto sei; serena il ciglio
dell'Orobia illustre figlio;
che di principi un senato
sul Tarpeo t'ha destinato
sempre verde ambito serto,
cui sfrondar non può l'età.
Sarà emblema del tuo merto
un allor che non morrà.
TORQUATO
Ah! ch'io respiri! È troppa gioia! Meco
Goffredo è sul Tarpeo! Fra tante e tante,
che per lui, m'ebbi in cor barbare spine
una fronda d'alloro io colgo alfine!
Eleonora! Ora nel dirti: addio,
pari a te sono, ho una corona anch'io.
CORO
Vieni.
TORQUATO
Verrò; ma da lei volo. Io voglio
da lei saper se a lei m'innalza questa
rara, non compra, ardua corona...
CORO
(arrestandolo)
Arresta.
Non rispondono gli estinti
dell'avel dai muti marmi;
né per lagrime, o per carmi
cener freddo mai parlò.
TORQUATO
(dolorosamente colpito all'annunzio inatteso)
Ella spenta! Io l'ho perduta?
Son deserto sulla terra?...
Ah! per voi fia sempre muta;
nel mio cor l'ascolterò.
Parlerà. Ne' sogni miei
lascerà la terza stella;
meno altera e assai più bella
al suo fido tornerà.
Ah! la veggo! Ah! sì... Tu sei!
(inginocchiandosi)
Ecco il lauro a' piedi tuoi.
Fu il sospiro degli eroi;
ma, te spenta, orror mi fa.
CORO
(Facendo sorgere Torquato)
Piangesti assai, Torquato:
apri alla gloria il core.
Mira del tempo alato
il genio voratore.
Del sacro allor coll'ègida
sfida il poter degli anni;
rompi l'oblio de' secoli
con gl'indomati vanni.
E l'epico tuo verso
per l'aere echeggerà
fin quando l'universo
come minuta polvere
disciolto crollerà.
TORQUATO
Invidi, dileguatevi;
Roma immortal mi fa.
Tomba di lei, che rendermi
seppe beato e misero,
un fiore ed una lagrima
io spander vo' su te.
CORO
Vieni al Tarpeo: non piangere;
onor t'impenni 'l piè.
TORQUATO
Sì: dell'onor al grido
volo del Tebro al lido...
non vi sdegnate, o Cesari;
v'è un lauro ancor per me.
CORO
T'affretta; il fato barbaro
si cangia alfin per te.
FINE
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