Gaetano Donizetti
(1797-1848)
Caterina Cornaro
Tragedia lirica in un prologo e due atti di
Giacomo Sacchéro, è stata rappresentata a Napoli (Teatro San Carlo) il 18 gennaio del 1844
PersonaggiCaterina Cornaro (Soprano), Matilde (Mezzosoprano), Gerardo (Tenore), Lusignano (Basso), Mocenigo (Basso), Andrea Cornaro (Basso), Strozzi (Tenore), un cavaliere del re (Tenore); dame, cavalieri, sgherri, guardie del re, guerrieri, popolo
PROLOGO
Sala nel palazzo Cornaro.
SCENA prima
La sala è ingombra di cavalieri e dame, indi entrano
Caterina, Gerardo, Andrea e Matilde. Il Coro
saluta i giovani sposi.
CORO
Salve, o beati, al giubilo
di puro amor promessi;
salve, o serbati, all'estasi
dei maritali amplessi!
Per voi, qual oggi, un'aura
del ciel soave e blanda
renda di fior perpetua
la nuzial ghirlanda,
e corrisposto un palpito
v'agiti sempre il cor.
CATERINA
Mercé dei lieti auguri.
ANDREA e MATILDE
V'arrida il cielo e amor.
GERARDO e CATERINA
(in disparte)
Tu l'amor mio, tu l'iride
dei giorni miei sarai;
or che m'è dato stringerti
per non lasciarti mai.
A te il desìo dell'anima,
a te il sospir d'amore;
e vita, e affetti, e core
tutto consacro a te.
ANDREA
Il sacro rito a compiere
volgiamo, o figli, il piè.
CORO
Al tempio!
GERARDO
Andiam...
SCENA seconda
Un uomo mascherato e detti.
LA MASCHERA
Fermatevi.
TUTTI
Che avvenne?
LA MASCHERA
Sian sospese le nozze.
ANDREA
Perché?
LA MASCHERA
(sottovoce ad Andrea)
A nome
dei Dieci io vengo.
ANDREA
(Oh ciel!)
LA MASCHERA
Escano.
ANDREA
Uscite:
è mestier ch'io l'oda.
IL CORO, GLI SPOSI e MATILDE
Qual mistero!
Partono.
LA MASCHERA
Or che siam soli, ascoltami.
Egli si cava la maschera, ed Andrea resta
riverentemente attonito riconoscendo Mocenigo.
ANDREA
Signore!
MOCENIGO
Tua figlia, è vero, sposar dee Gerardo?
ANDREA
Si.
MOCENIGO
Ebben quando?
ANDREA
Oggi.
MOCENIGO
Scioglier questo nodo
déi tu.
ANDREA
Nò'l posso. Detti fé.
MOCENIGO
Non monta.
Venezia il vuole. E in guiderdon tua figlia
un altro sposo avrà.
ANDREA
Foss'egli un re
MOCENIGO
Egli è tale.
ANDREA
(con sorpresa)
Che di'?
MOCENIGO
Riposa in me.
Dell'empia Cipro il popolo,
stolto e ribelle ognora,
spinse in esilio l'ultimo
re Lusignano.
ANDREA
Ed ora?
MOCENIGO
Noi tornerem quell'esule
ne' pieni dritti suoi,
e a far più saldo un vincolo
util cotanto a noi,
l'alto sovran consiglio
sposa di lui farà
tua figlia.
ANDREA
(Ciel!)
MOCENIGO
Tua figlia,
si, una corona avrà.
ANDREA
(con superba meraviglia)
Oh!
MOCENIGO
Udisti? I Dieci fidano che obbedirai.
ANDREA
(Qual sorte!)
MOCENIGO
Io tornerò. Delibera:
o una corona, o morte.
Mocenigo parte: Andrea resta tristamente attonito.
SCENA terza
Caterina, Gerardo, Matilde, dame e cavalieri.
TUTTI
Parti?
ANDREA
(Che dire!)
CORO
Al tempio!
ANDREA
Cessate.
CORO e GERARDO
Che!
CATERINA
Qual guardo! Vien...
ANDREA
Non più nozze, o misera: parti da qui, o Gerardo.
GERARDO
Deliri?
ANDREA
Io deggio sciogliere tal nodo.
GERARDO
E la tua fé?
ANDREA
La sciolgo anch'essa.
CATERINA
Barbaro!
GERARDO
Come! Tal onta a me!
CATERINA
(strappandosi gli ornamenti nuziali)
Sprezza, o padre, e fede e onore:
via corona, e fiori, e velo;
ma se sorda al mio dolore
esser dee la tua pietà,
v'è per tutti un padre in cielo,
che il mio grido ascolterà.
GERARDO
Tutto oblìa: ma bada indegno,
che l'oltraggio ho in mente sculto:
che da te son fatto segno
di disprezzo e di pietà;
ma il rossor di questo insulto
vendicato un dì sarà.
ANDREA
(Ahi! per lor più non avanza
raggio alcun di miglior sorte.
È perduta ogni speranza,
né sentir poss'io pietà.
O dividerli, o la morte
questo nodo troncherà!)
CORO e MATILDE
(tra loro)
Parla pur, ma vendicato
sarà un'atto sì villano;
al suo sdegno provocato
l'ira nostra unita andrà:
e il voler di quest'insano
cancellato appien sarà.
Partono.
Gabinetto di Caterina: in fondo un uscio, che chiude una
camera segreta: da un lato porta che mette negli
appartamenti, dall'altro finestre che guardano sul canale.
Una lampada rischiara la stanza solitaria.
SCENA quarta
Voci lontane di gondolieri, poi Caterina.
CORO
Or che l'astro in mar si cela,
e l'uom toglie alla fatica,
sulla fragile mia vela
lieve auretta spira amica:
fa, ch'io giunga all'umil tetto,
dove anela il mio desir,
ond'io stringa i figli al petto,
e li possa benedir.
CATERINA
Torna all'ospite tetto, o gondoliere,
fra la gioia del canto.
E a me cui nulla arride, a me dal Cielo
prega giorni men rei. Chi vien?
SCENA quinta
Matilde e detta.
CATERINA
Matilde
MATILDE
(dandole un foglio)
Fa core.
CATERINA
Questa scritta?
MATILDE
Da Gerardo
mi venne.
CATERINA
Oh ciel! Che spera?
(essa l'apre e legge)
Oh! immensa gioia.
MATILDE
Che spera?
CATERINA
Ei venir vuole questa notte
a liberarmi dal poter tremendo
del senato.
MATILDE
Che di'?
CATERINA
Sì: parti, corri,
e veglia ben, che non veduto ei giunga
alle mie stanze.
MATILDE
In me confida.
Parte.
CATERINA
Oh! presto
scorran l'ore per me, che la mia vita
render denno alla sua per sempre unita.
Vieni, o tu, che ognora io chiamo
con dolcissime parole.
Vieni a me, che aspetto ed amo,
come fior che aspetta il sole.
Né temer per la laguna
della torbida fortuna:
sui tuoi giorni, amato mio,
veglia ognor propizio il ciel.
Ah! vieni t'affretta
mio dolce tesoro;
ti chiama, t'aspetta
fedele il tuo ben.
Più nulla non bramo,
se il ciel mi concede
ridirti che t'amo,
stringendoti al sen.
SCENA sesta
Andrea e Caterina.
CATERINA
(con spavento)
Ahi! qui ancor, padre mio?
ANDREA
(con dolce bontà)
Non maledirmi:
dal consiglio sovrano io fui costretto
a lacerar l'affetto vostro.
CATERINA
Il cielo
giudichi te.
ANDREA
Né ancor la tua sventura
tutta conosci.
CATERINA
Quale?
ANDREA
Un altro sposo
t'è destinato.
CATERINA
Un altro!
ANDREA
Un re.
CATERINA
Non mai!
ANDREA
Vuoi tu perder Gerardo?
CATERINA
Oh ciel! Che sento!
Parla...
ANDREA
L'apprendi da costui.
Parte additandogli Mocenigo.
SCENA settima
Caterina abbrividisce, trovandosi sola
dinnanzi a Mocenigo.
CATERINA
Signore...
MOCENIGO
Non temer, Caterina, udisti?
CATERINA
Udii.
MOCENIGO
Vuoi tu salvar Gerardo?
CATERINA
Come?
MOCENIGO
Or, ch'esso
verrà, dirgli dovrai che più non l'ami,
e che tu aspiri a illustri nozze.
CATERINA
Orrenda
bestemmia!
MOCENIGO
Ed ei morrà...
CATERINA
Per chi?
Mocenigo schiudendo l'uscio della stanza segreta, e
mostrandole degli sgherri armati.
MOCENIGO
Pel braccio
di costoro; l'intendi? Bada!
Entra in quella stanza.
CATERINA
Oh sorte!
Avvertirlo io potessi! Ahi! sentir parmi
lieve romor d'un piè che s'avvicina...
È desso... egli si perde... Io non ho core!...
Non posso... ahimè!
SCENA ottava
Gerardo e Caterina.
GERARDO
Dolce amor mio!
CATERINA
Gerardo!
GERARDO
Fuggiamo, o Caterina: il ciel protegge
i nostri voti.
CATERINA
(Deh, m'assisti, o cielo!)
GERARDO
Sospiri tu?
CATERINA
(Che dirgli?)
GERARDO
Alla mia gioia
tu non esulti?
CATERINA
(Oh, supplizio!) Perdona
al tumulto del cor.
GERARDO
Càlmati, o cara,
per me avrà fine la tua vita amara.
Spera in me, della tua vita
l'ombra cupa si dirada:
sulla rosa inaridita
manda il ciel la sua rugiada.
Tristo verno innanzi sera
oltraggiò la tua beltà:
or per nuova primavera
vaga più rifiorirà.
CATERINA
(Che far deggio? Oh, pena atroce!
La mia piaga ei più ritenta.
Dir vorrei, ma la sua voce
mi commuove, e mi spaventa:
mentr'io l'amo, e un foco immenso
consumando il cor mi va.
Come mai più a te non penso
più non t'amo udir dovrà?)
GERARDO
Vieni.
CATERINA
Oh! No.
GERARDO
Che dici?
CATERINA
Parti.
GERARDO
Che!
CATERINA
M'oblìa.
GERARDO
Potresti farti
tu spergiura?
CATERINA
(Oh, pena estrema!)
GERARDO
Più non m'ami?
CATERINA
(Oh, istante!)
Guardando l'uscio. Mocenigo si affaccia all'uscio della
porta segreta, e le mostra gli sgherri armati.
MOCENIGO
Trema.
GERARDO
Parla...
CATERINA
Or bene. Io più non t'amo...
Più non t'amo.
GERARDO
Oh, rea bestemmia!
Tu vaneggi? Ah no!... Partiamo.
CATERINA
(Ciel pietà!)
GERARDO
Cedi...
CATERINA
E impossibile.
GERARDO
Dunque è ver bugiardo core,
che un re t'offra e serto e amore?
CATERINA
(Io non reggo!)
GERARDO
S'è fallace
questa nuova, un solo accento
proferisci, ed avran pace
le mie smanie.
CATERINA
(guardando all'uscio)
(Oh, mio spavento!)
GERARDO
Parla, dici il vero?
MOCENIGO
(si affaccia ancora minaccioso)
Bada!
CATERINA
Tutto è vero.
GERARDO
E vero?
CATERINA
Si.
GERARDO
Sciagurata or su te cada
del ciel l'ira.
CATERINA
(Orribil dì!)
GERARDO
Va', crudel: maledetto quel giorno
che ti vidi, e perduto t'amai.
Maledetto quest'empio soggiorno,
da cui fede ed affetto sperai.
L'ira mia che implacabile estrema
ora impreca all'infranta tua fé,
notte e dì fino all'ora suprema
posi infausta e tremenda su te.
CATERINA
(Lassa me! Qual orrenda, blasfema!
qual parola esecranda m'è uscita!
Provocai la sua collera estrema,
ma salvai la diletta sua vita.
E mentr'egli colpevol mi crede,
e insultando mi scaccia da sé,
ahi! non sa, che illibata è la fede,
che il mio core spergiuro non è!)
Senti almen...
GERARDO
Più non deggio ascoltarti.
CATERINA
Ah pietà!
GERARDO
Non la merti, o crudel!
CATERINA
Tu non sai...
GERARDO
Non importa.
CATERINA
Tu parti?
GERARDO
Sì, per sempre abborrirti, o infedel!
Gerardo parte: Caterina cade svenuta.
ATTO PRIMO
Piazza in Nicosia: di fianco il palagio del re Lusignano;
in fondo il mare sparso di navi. È notte.
SCENA prima
Mocenigo solo.
MOCENIGO
Sei bella, o Cipro! A te versan tesori
le strane navi, a te l'aure felici,
e i più vitali rai prodiga il cielo.
Oh! Fossi pur soggetta
alla sovrana dell'adriaco mare!
Malo sarai. Gittato è il dado; compre
son da me queste genti, e Cipro in breve
se al mio pensier sorride amica stella
fia di Venezia tributaria ancella.
SCENA seconda
Strozzi e detto.
STROZZI
Signore...
MOCENIGO
Che nuove?
STROZZI
L'audace Gerardo
è in Cipro.
MOCENIGO
Egli stesso! Sei certo?
STROZZI
L'ho visto
io stesso, poc'anzi.
MOCENIGO
Ed era il codardo?
STROZZI
In abito armato.
MOCENIGO
Armato! Quel tristo
pretende egli forse lottare con noi?
E lotti: non monta! Del nostro rival
ricerca, o mio Strozzi, coi militi tuoi.
STROZZI
Se avvien ch'io lo giunga?
MOCENIGO
Hai braccio, e pugnal.
Credi che dorma, o incauto,
perché il leon non rugge?
No! Più tremendo è il turbine
quando nel ciel non mugge.
Va': guata armato e vigile;
opra in silenzio ognor;
e poi del mare i vortici
fian tomba al traditor.
STROZZI
E poi del mare i vortici
fian tomba al traditor.
Partono.
SCENA terza
Lusignano, sotto private spoglie, ed un cavaliere.
LUSIGNANO
Lasciami, o cavalier.
CAVALIERE
Perché, o mio prence,
solo rimaner vuoi?
LUSIGNANO
Note mi sono
le audaci mire del sovran consiglio...
CAVALIERE
Esso forse?
LUSIGNANO
Congiura a rovesciarmi
dal soglio ove mi pose.
CAVALIERE
E tu?
LUSIGNANO
Se il posso,
tento il filo spezzar delle lor trame,
e insiem fiaccar quell'arroganza infame.
Da che a sposa Caterina
diemmi il veneto Senato,
del mio regno la ruina
si comprò con quel mercato.
Or che intera, e certa appare
la viltà dei traditor,
chiedo al cielo, e chiedo al mare
nuove tempre al mio furor.
Ma colei, la sventurata
che far lieta io pur vorrei,
fu dai vili condannata
a soffrir gli affanni miei:
tuttavia nel lutto immersa
celar tenta il suo dolor;
ma ogni lagrima che versa,
si distempra sul mio cor.
CAVALIERE
O mio re...
LUSIGNANO
Va', discaccia ogni timore,
sovra i giorni dei re vegli il Signore.
Partono.
SCENA quarta
Sgherri, indi Strozzi.
CORO
(vedendo comparire Strozzi)
Core, e prontezza.
STROZZI
Prontezza, e core.
CORO
Ben svelto ha il passo quel traditore!
STROZZI
In bando, amici, scherzi e parole;
Venezia il vuole.
TUTTI
Siccome veltri per le foreste
di quel ribaldo cerchiam le peste,
estinto prima che torni il sole
Venezia il vuole.
Dannato a morte pel tradimento,
è troppo giusto ch'ei cada spento.
Lasciam per ora nappi, e carole:
Venezia il vuole.
A celar l'opra, compagni, basta
la cupa notte, che ci sovrasta.
Sia fermo il braccio qual esser suole.
Venezia il vuole.
Partono. Dopo qualche istante.
CORO DI DENTRO
Morte all'indegno!
UNA VOCE
Infami aiuto!
CORO
Morte.
UN'ALTRA VOCE
Indietro, o scellerati.
Entra Strozzi precipitoso.
STROZZI
Oh! iniquo caso!
Fallito è il colpo!
Parte fuggendo.
SCENA quinta
Gerardo e Lusignano.
GERARDO
Grazie, o generoso,
che sei corso a salvarmi.
LUSIGNANO
Altri qualunque,
stranier, t'avria difeso.
GERARDO
Or potrei, spero,
saper, chi sia l'uomo per cui mi corre
debito tanto.
LUSIGNANO
In premio del favore,
concedimi ch'io il taccia.
GERARDO
Almen la patria tua?
LUSIGNANO
È la Francia.
GERARDO
La Francia è patria mia.
Si stringono le destre.
LUSIGNANO
Se d'uopo in qualsisia
tempo avrai del mio braccio,
vieni presso del re.
GERARDO
Del re? Prosegui...
LUSIGNANO
Tu raccapricci? È pur figlio di Francia
re Lusignano.
GERARDO
E ver ma...
LUSIGNANO
(stringendogli la destra)
Franco parla.
GERARDO
Io l'aborro.
LUSIGNANO
Perché?
GERARDO
Perch'ei mi tolse
l'amor mio.
LUSIGNANO
Caterina?
GERARDO
Lo dicesti.
LUSIGNANO
(Che intendo!) Ed ora?
GERARDO
Io voglio i miei tormenti
rinfacciargli.
LUSIGNANO
Sta bene: io mostrerotti
colui.
GERARDO
Dov'è? Su! me l'addita.
LUSIGNANO
Insano!
Eccolo.
GERARDO
Che! Tu stesso!
LUSIGNANO
Io Lusignano.
Parla, ardisci: io son quel desso,
che ti tolsi il primo amore.
Tu non l'osi?
GERARDO
E tanto eccesso
consumar potrebbe un core?
LUSIGNANO
Se di rabbia ardente sei,
facil'opra è l'empio vanto.
GERARDO
Guarda, o re, dagli occhi miei,
come il cor m'hai posto in pianto.
Vedi: io piango. Non por mente
al mio sdegno, io non ragiono.
Se fui stolto e sconoscente,
né un fellon, né un vile io sono.
Oh! perdona a un disperato,
che più senno e cor non ha.
Il martirio che ho durato
solamente il ciel lo sa.
LUSIGNANO
Se tu piangi, e sei pentito,
ti compiango, e ti perdono.
Come te fui pur tradito,
più dite perduto io sono.
E colei, che m'ebbi in patto
d'alleanza e d'amistà;
fu stromento d'un misfatto,
che cader su me dovrà.
GERARDO
(toccandosi il petto)
Che qui non batte un core ingrato
provarti forse a me fia dato.
Vivi felice e congiunto a lei,
che pianser tanto questi occhi miei.
Sacra è la fede, che ti giurai.
LUSIGNANO
Viver felice! Ma tu non sai,
ch'avido il guardo su questa terra
gittò il Leone per farmi guerra?
GERARDO
Bando ai timori!
S'odono avvicinarsi le guardie.
LUSIGNANO
Senti?
GERARDO
(in atto di partire)
La scorta
notturna avanzasi a questa volta.
LUSIGNANO
Mi lasci?
GERARDO
Il deggio: ma sappi, o sire,
che sui tuoi giorni veglia un fratel.
LUSIGNANO
(abbracciandolo)
Non più pavento l'ostile ardire,
se in te un custode mi manda il ciel.
GERARDO
Sì: dall'ardir degli empi
per me difeso andrai,
perché t'è sposa, o principe,
quella che un giorno amai,
della mia vita il debito
sento due volte a te:
e la mia man difendere
dovrà il fratello, e il re.
LUSIGNANO
Dunque tu vuoi dividere
meco ogni mio periglio?
O generoso giovine
sei ben di Francia figlio!
Dal reo mercato sciogliere
potessi almen la fé!
Più Caterina vittima
non io vorrei, né te.
Partono.
Gabinetto della regina: in fondo la camera del re: da un
lato la porta esteriore, dall'altro un poggiuolo, che guarda
sul porto.
SCENA sesta
Caterina siede mesta, le dame stanno
accanto a lei. Poi Lusignano.
CORO
Gemmata il serto, giovine
regina, e bella tanto:
eppur si strugge tacita
da molti giorni in pianto:
sgombra dagli occhi languidi
le dolorose stille:
di gioia ognor risplendere
denno le tue pupille;
e mille cori anelano
al riso tuo gentil,
siccome i campi ai zefiri
giocondi dell'april.
Guarda, s'avanza il re.
CATERINA
Partite. O sposo
Le dame partono.
LUSIGNANO
Che hai? Tu soffri?
CATERINA
E ver, pei giorni tuoi,
che fosca nube di dolore ammanta.
LUSIGNANO
Oh! tosto a sé chiamarmi il ciel volesse!...
CATERINA
Che dici, o sposo!
LUSIGNANO
Il simular che vale?
O sposa, o nobil core!
Io ben t'ammiro, e soffro al tuo dolore.
Non turbarti a questi accenti,
o sublime creatura;
dei tuoi lunghi patimenti
so la storia acerba e dura;
so ben io perché sfiorando
il tuo riso ognor si va:
e per questo al ciel domando
la perenne libertà.
SCENA settima
Strozzi e detti.
STROZZI
O re!
LUSIGNANO
Strozzi!
STROZZI
Un francese
chiede parlarti.
LUSIGNANO
Inoltri.
Strozzi parte.
O Caterina,
l'ascolta tu per me; d'uopo ha di pace
il travagliato spirito mio.
Lusignano parte accompagnato da Caterina.
SCENA ottava
Strozzi, Gerardo, indi Caterina.
STROZZI
T'avanza.
(Oh ciel! Gerardo! A Mocenigo tosto
si corra) La regina.
Entra Caterina; Strozzi parte.
GERARDO
(Oh, Caterina!)
CATERINA
Del re, consorte mio, debole e infermo
io sostengo le veci, o cavaliere.
GERARDO
(Che tumulto ho nel cor!)
CATERINA
Parla: che chiedi?
GERARDO
Da te, o regina, nulla più.
CATERINA
(riconoscendolo, e mettendo un grido)
Qual voce! Gerardo?
GERARDO
Io stesso. Un dover sacro, o donna.
CATERINA
Infelice!
GERARDO
Io non vengo a suscitare
nel tuo misero cor l'antica guerra:
per me, lo so, più non esisti in terra.
Qui m'ha chiamato, e testimon n'è il cielo.
Da quel dì che lacerato
questo cor fu crudelmente,
mari, e monti ho valicato,
tristo ognora, ognor furente.
Il mio stato doloroso
non si puote immaginar.
CATERINA
(In quest'ora, o ciel pietoso,
non volermi abbandonar!)
GERARDO
D'un conforto, nella gloria,
ebbi speme e corsi all'armi;
ma venia la tua memoria
pur nel campo ad agitarmi...
La sua grazia, il suo favore
chiesi al ciel per obliarti,
soffocar l'insano ardore,
viver mesto, e perdonarti...
Poi pensando al duro oltraggio
l'ira mia s'inacerbò.
CATERINA
(Dammi, o cielo, il tuo coraggio,
e l'arcan gli svelerò)
Troppo giusto è il tuo rigore,
ma sai tu qual trama orrenda
fece reo questo mio core?
GERARDO
Trama! E qual? Fa' ch'io l'apprenda...
CATERINA
In quel dì che rinnegai
la promessa dell'amore,
in quel giorno io ti salvai
dal pugnal d'un traditore.
Io però sacrificai,
per salvarti, e vita e amor.
GERARDO
Cielo! Il ver da te ascoltai?
CATERINA
Sì, pur troppo!
GERARDO
Oh, nobil cor!
CATERINA
Da me fosti ognor compianto,
fratel mio, mio dolce amico;
ogni dì cogli occhi in pianto
ti ricordo, e benedico
d'amistà, non più d'amore
sia l'affetto vivo in te:
nella pace del tuo core
prega, o misero, per me.
GERARDO
Sventurata, piango anch'io,
ma per te m'è il duol gradito:
ti rammenta il pensier mio
come un ben che fu smarrito.
E se in lagrime la sera
io domando al ciel mercé,
la più fervida preghiera
io la sciolgo ognor per te.
CATERINA
Ora parti.
GERARDO
Un mistero tremendo
odi pria; Lusignano e il tuo regno
corron certo periglio.
CATERINA
Che intendo!
GERARDO
E coll'armi a difenderlo io vengo.
SCENA nona
Mocenigo e detti.
MOCENIGO
Troppo tardi.
CATERINA
Oh, spavento!
GERARDO
Da lui
il tuo sposo, il buon re Lusignano
è tradito.
CATERINA
Empio core!
MOCENIGO
Lo fui:
sì! Venezia lo scettro di mano
gli vuol tolto.
CATERINA
Oh! vilissimo ardire!
MOCENIGO
Tu per noi regnar devi e morire.
CATERINA
No! Il suo prence a difender da' rei
sorgerà questo popolo ardito.
MOCENIGO
Ed io allor che manchevole sei
gli dirò, che da te fu tradito
il sovrano...
CATERINA
Ah!
MOCENIGO
Da colpo sì rio,
dimmi, allor chi ti salva? Chi?
SCENA decima
Lusignano ed i precedenti.
LUSIGNANO
Io!
Indietro! Io, vil carnefice!
difenderò costei:
io farò noto al popolo,
che malfattor tu sei.
Di fato reo lo sdegno
se morto mi vorrà;
chi mi tradisce, indegno!
prima di me morrà!
MOCENIGO
Cerca, se il vuoi, supplizi;
scaglia su me la morte;
ma non per questo un fremito
darà il leon men forte.
Al nunzio dell'estrema
mia sorte ei ruggirà.
E l'ora mia suprema,
l'ultima tua sarà.
CATERINA
Scaglia la giusta folgore
sulla superba fronte:
tronca in costui l'origine
dei danni nostri e l'onte.
Pera chi spregia e insulta
colui, che il punirà:
più non rimanga inulta
l'offesa maestà.
GERARDO
Ti prostra nella polvere
senza levar lo sguardo,
or che del ciel l'anatema
ti fulminò, codardo.
Non sempre arrise il fato
dei Dieci alla viltà.
E il loro ardir scontato
col sangue tuo sarà.
LUSIGNANO
Olà?
MOCENIGO
Gran re, la collera
vendicatrice è tarda.
Un cenno, e di Venezia scoppierà
il tuono. Guarda...
Egli getta in mare, dal poggiuolo, una sciarpa,
e s'ode all'istante un colpo di cannone.
Guerra!
Entrano le guardie del re.
LUSIGNANO
Giacché lo vuoi, guerra fra noi sarà.
Guardie, l'affido a voi.
MOCENIGO
(Oh! rabbia!)
LUSIGNANO
All'armi or va.
LUSIGNANO, GERARDO e CATERINA
Va', fellon: di questa terra
escirà il leon codardo.
Degli oppressi è il braccio in guerra
formidabile e gagliardo:
ed il veneto senato,
che tradir mi/lo s'attentò,
maledetto ed esacrato
alle genti io renderò.
MOCENIGO
Su, di morte alla tenzone
corra pur la gente tutta,
pria d'abbattere il leone
la tua Cipro andrà distrutta,
benché il braccio ho incatenato
pur tremar per me non so.
Osa pur, ma vendicato,
vendicato io morirò.
ATTO SECONDO
Atrio nel palazzo di Lusignano: in fondo una piazza di
Nicosia. Si ode frastuono di militari strumenti.
SCENA prima
Il cavaliere del re, poi Gerardo.
CAVALIERE
Misera patria! Ahi! sopra te la guerra
scuoterà il suo flagello!... E chi in soccorso
verrà d'un re tradito?
GERARDO
Io.
CAVALIERE
Tu straniero!
GERARDO
Qual ch'io sia non cercarlo. Un dover sacro
a Lusignan m'annoda, e la sua vita
a difendere io venni.
CAVALIERE
O cor sublime!
GERARDO
A tal uopo raccolsi, e in arme posi
questa perplessa impaurita gente,
e qui presto l'attendo.
CAVALIERE
Ascolto il vero?
GERARDO
Ne attesto il ciel, cui noto è il mio pensiero
io trar non voglio campi ed onori
dalla imminente vostra ruina:
mi basta in premio dei miei sudori
far salva e lieta questa regina.
Di più non bramo, se al vostro amore
un re tradito render potrò.
E poi d'un antro nello squallore
a seppellirmi per sempre andrò.
CAVALIERE
Sei ben pietoso, se tanto al core
il nostro affanno parlar ti può.
SCENA seconda
I predetti e gente in armi.
CORO
Guerra, guerra! Corriam gl'insolenti
troppo incauti oppressori a punir.
GERARDO
Su, corriamo concordi e possenti:
per dar morte al leone, o morir.
GERARDO e CORO
Morte, morte! Fur troppi gl'insulti
che versò sulla vostra/nostra contrada.
Se morremo, cadrem non inulti
impugnando la vindice spada.
Su, corriam a spezzare il reo laccio,
che il Leone vuol stringervi/ci al piè,
e il signor farà invitto quel braccio,
che difende la patria, ed il re.
Partono.
SCENA terza
Le dame della regina in disperata costernazione.
CORO
Oh ciel! Che tumulto! Che fieri lamenti!
Il grido di sangue terribile echeggia.
Risuonano d'urli, d'atroci spaventi
le strade cruenti, le case, la reggia.
Scomporsi in abissi ci sembra la terra:
dovunque tenebre, dovunque terror.
E il folgor, che vola dai bronzi di guerra,
ricaccia più forte la morte nel cor.
SCENA quarta
Caterina e dette.
CATERINA
Dolorosa incertezza! Ancor dei nostri
non è giunta novella?
CORO
Ancor nessuna.
CATERINA
E più incalza la mischia! Oh maledetta
d'impero ambizion! Spegnete l'ire...
È grave questo serto!
Ah! il ciel non possa mai dimandar conto,
a chi m'assunse per un vil mercato
allo splendor del più superbo stato.
Pietà, o Signor, ti muovano
le angosce del mio core,
e l'affannoso gemito
d'un popolo che muore!
Sangue le gemme grondano
di mia corona, è vero;
fieri nemici investono
l'uom che splendor mi die';
pur la salute io spero
di tutto un regno in te.
Odesi internamente musica lieta.
VOCI LONTANE
Vittoria! Vittoria!
CORO
Giulivo concento!
CATERINA
Chi vinse? E il mio sposo? Beato momento?
SCENA quinta
Le precedenti, il popolo ed i guerrieri.
POPOLO e GUERRIERI
Esulta, o regina! Le rose più belle
ritornino ancora, sul mesto tuo volto,
è libera Cipro, sul fronte al tuo sposo
la gemma regale ritorna a brillar.
CATERINA e DAMIGELLE
Sien grazie all'Eterno, che giusto e pietoso
dall'ira straniera ci venne a salvar.
CATERINA
E Lusignano?
SCENA ultima Lusignano ferito, sorretto da Gerardo e i
precedenti.
GERARDO
Guardalo.
CATERINA
Oh ciel! Ferito...
LUSIGNANO
E a morte.
CORO
Pugnando.
LUSIGNANO
Sì; ma liberi
siam delle altrui ritorte.
Orsù della vittoria
l'inno sciogliete ancora;
fatemi lieve all'anima
questa terribil ora.
GERARDO
Oh! acerbo affanno! Oh duol!
LUSIGNANO
Sposa perdona, e volgimi
il generoso sguardo.
Caterina e Gerardo piangono.
CATERINA
Oh! strazio!
LUSIGNANO
Oh! compiangetemi!
E perdonate a me.
TUTTI
Reggi, tu, o ciel, lo spirito
che sta anelando a te.
LUSIGNANO
(a Gerardo)
Addio: fratello, giovine
sposa infelice addio.
Le sorti del mio popolo
a te confido, e al ciel.
CATERINA
Ei muore...
Lusignano spira. Caterina mette un grido di dolore.
CORO
Il re magnanimo
accogli, o cielo!
CATERINA
(piangendo sul corpo del re)
Ahimè!
GERARDO
Se hai caro questo popolo,
pensa al tuo regno, e a te.
CATERINA
(volgendosi al popolo)
Non più affanni, o mie genti, e preghiere,
voi sorgeste dai vostri dolori:
fur protette le giuste bandiere,
furon vinti i codardi oppressori,
or che il nostro sublime riscatto
fu comprato col sangue di un re,
o mie genti, con alma sincera,
per quel sangue giuratemi fé.
(Perdi tutto, infelice regina,
ed il pianto è delitto per te)
GLI ALTRI
Noi giuriam d'obbedirti, o regina:
lo giuriam sulla spoglia d'un re.
Tutti s'inchinano alla regina, e cade la tela.
FINE
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