Gioachino Rossini

(1792-1868)

Aureliano in Palmira

Dramma serio per musica in 2 Atti, è stata eseguita a Milano (Teatro alla Scala) il 26 dicembre del 1813

Personaggi

Aureliano, imperatore di Roma (Tenore); Arsace, principe di Persia (Contralto); Zenobia, regina di Palmira, sua amante (Soprano); Publia, figlia di Valeriano, amante segreta di Arsace (Mezzosoprano); Oraspe, generale de' Palmireni (Tenore); Licinio, tribuno (Basso); il gran sacerdote d'Iside (Basso); sacerdoti, donzelle palmirene, guerrieri e soldati palmireni, persiani e romani, pastori e pastorelle

Libretto di
Felice Romani

Coro di sacerdoti, donzelle palmirene; guerrieri persiani, palmireni e romani; pastori, pastorelle; soldati romani, palmireni e persiani.

Atto Primo

Gran tempio d’Iside con simulacro a destra.

Scena prima
Sacerdoti che fanno i sacrifici, donzelle, guerrieri e popolo prostrati alla statua del nume. Gran Sacerdote

Tutti
Sposa del grande Osiride,
madre d’Egitto e Diva,
o che ti piaccia scendere
sovra l’Inachia riva,
o in mezzo al Nil settemplice
ti giovi il crin lavar,
mira pietosa il popolo
steso al tuo santo altar.

Sacerdoti
A te devoti svenano
vittime i sacerdoti.

Le vergini
Le palpitanti vergini
t’appendon fiori e voti.

I guerrieri
Invoca te la supplice
guerriera gioventù.

Tutti
Salvi il tremante popolo
l’eterna tua virtù.
Madre di questo regno,
accorda a noi sostegno.
Il tuo tremante popolo
salva da tanto orror.

Gran sacerdote
(spaventato)
Ahi! L’ara si scuote,
il tempio s’oscura;
la dea ci percuote
con nuova sciagura;
che stragi e ritorte,
che morte, che orror.

Tutti
Oh Diva tremenda!
pietade ti prenda
del nostro dolor.

 

 

Scena seconda
Zenobia con seguito da una parte, ed Arsace dall’altra. Appena escono, tutti li circondano spaventati; Arsace e Zenobia li rassicurano.

 

Zenobia e Arsace
Coraggio o figli... ahi quale,
qual debolezza è questa!

Arsace
Zenobia ancor vi resta.

Zenobia
Vi resta Arsace ancor.

Tutti
Ah! Se per noi pugnate
vinti non siamo ancor.

Arsace
Se tu m’ami, o mi regina,
tornerò da te più degno:
sola in Asia avrai tu regno,
come regni sul mio cor.

Zenobia
Ah! soltanto il ciel, che invoco,
te conservi, o mio guerriero,
perderò corona e impero,
purché a me tu resti ognor.

Zenobia e Arsace
Deh! pietosa, o dea, rimira
così pura e bella face:
placa il fato di Palmira,
rendi a noi la prima pace,
e sorridi al nostro amor.
(Musica guerriera.)

Zenobia
Senti... ahimè!

Donzelle
Qual suon lontano!

Arsace
Suon di guerra...

Guerrieri
Oraspe arriva.

Zenobia
Che fia mai?

Sacerdoti
Ci assisti, oh Diva!

 

Scena terza
Oraspe frettoloso con soldati e detti

 

Arsace
Ah favella...

Coro
(Che dirà?)

Oraspe
Già l’insegne d’Aureliano
dell’Eufrate sono in riva,
e l’esercito romano
già minaccia la città.

Arsace
Voliamo al campo. Addio.

Zenobia
Ti segue, o caro, anch’io.

Donzelle
Chi salverà Palmira?

Gran sacerdote
Resta: la dea m’inspira.
(Prostrandosi tutti a Zenobia.)

Tutti i cori
Difendi la città.

Arsace
Resta, e mi sia partendo
stringerti al sen concesso;
maggiore a questo amplesso
il mio valor si fa.

Zenobia
Resto. Ah mi sia restando
stringerti al sen concesso;
maggiore a questo amplesso
il mio timor si fa.

Guerrieri palmireni e persiani
Compagni, all’armi, all’armi;
guerrieri, al campo, al campo;
de’ nostri acciari al lampo
Roma tremar dovrà.
(Partono Zenobia da un lato ed Arsace dall’altro, col loro seguito.)

 

 

Scena quarta
Gran sacerdote

 

Gran sacerdote
Secondino gli dei,
principe generoso, il tuo valore!
E se scritto è nel cielo,
che alla sorte di Roma
debba Palmira soggiacer, tua fama
sarà eterna fra noi; dolce pensiero
sempre sarai dell’Oriente intero.
Stava, dirà la terra,
contro Palmira il fato:
in sua difesa armato
Arsace sol pugnò.
Se nella sua rovina
restò l’eroe sommerso,
fu che col fato avverso
pugnar l’eroe non può.
(parte con tutti i sacerdoti)

 

 

 

Vasto campo, tutto in disordine, dopo sanguinosa battaglia, nella quale i Persiani sono rimasti sconfitti.
Al fondo della scena si scorge l’Eufrate, e di là dal fiume la città di Palmira.

 

Scena quinta
Aureliano sopra una biga trionfale. Guerrieri vinti e prostrati. Licinio e soldati romani

 

Coro de’ Romani
Vivi eterno, o grande Augusto,
all’Impero, al mondo, a noi;
e rispetti i lauri tuoi
ogni gente ed ogni età.
Al tuo crine il vinto Eufrate
nuove palme aggiungerà.

(Aureliano sostenuto dai suoi scende dal carro.)

Aureliano
Romani, a voi soltanto
debbo i trionfi miei, spetta a voi tutto
di cotanta vittoria il pregio e il frutto.
Come in battaglia prodi,
pronti l’ire a depor, se cessan l’armi,
il vinto si risparmi,
(fa alzare i prigionieri)
e si faccia per voi noto alla terra,
che Roma è grande in pace e grande i guerra.
Cara patria! il mondo trema,
se coll’armi abbatti i troni,
ma t’adora allor che doni
pace ai vinti e libertà.

Coro
Sì, la terra, in pace e in guerra,
sempre Roma vincerà.

Aureliano
A pugnar m’accinsi, o Roma,
col tuo nome impresso in cor.
Porgi i lauri alla mia chioma,
io ritorno vincitor.

Coro
Porgi i lauri alla sua chioma,
ei ritorna vincitor.

Aureliano
Olà: venga e si ascolti
il prence prigionier.

 

 

Scena sesta
Arsace ed Aureliano

 

(Esce Arsace, Aureliano gli va incontro)

Aureliano
Stretto in catene,
eccoti, Arsace: invan la Persia intera
armasti contro me: fur le tue schiere
dal romano valor vinte e fugate,
in riva dell’Oronte e dell’Eufrate.

Arsace
Della fortuna avversa
non rammentarmi in van lo sdegno estremo;
io son tuo prigionier; lo veggo e fremo.
Che se giustizia sola
assistesse al pugnar, in lacci avvinto
oggi Aurelian vedrei
al piede di Zenobia e ai piedi miei.

Aureliano
Principe, un folle amore
oh come ti cambiò! nemico a Roma
per Zenobia ti festi...
Dovrei punirti; ma pietà mi desti.

Arsace
La tua pietà? conosce il mondo appieno
il Tebro ed Aureliano.
Non alberga pietade in cor romano.

Aureliano
Fiero sei tanto! e che saria se vinto
da te foss’io?

Arsace
L’Asia dolente ascolta,
l’Asia il dirà.

Aureliano
Custodi, al mio cospetto
si tolga: io t’abbandono alla tua sorte.

Arsace
Da forte io vissi e morirò da forte.
(Partono. Aureliano entra nelle tende. Arsace è condotto via tra le guardie.)

 

 

Scena settima
Licinio

 

Licinio
Giorno di gloria è questo,
Roma, per te. Fu vendicato assai
tanto sangue latino
onde l’Asia rubella ancor rosseggia.
Nell’infedele reggia
tremi Zenobia, e nel destin d’Arsace
miri qual sorte acerba
fra poco il Tebro punitor le serba.
(parte)

 

 

Interno d’un magnifico padiglione, che s’apre a destra e a sinistra.

 

Scena ottava
Aureliano e Publia, indi Licinio, in ultimo Oraspe

 

Aureliano
Vincemmo, o Publia; ma ci resta ancora
Palmira a soggiogar. Finché Zenobia
nella forte città chiusa rimane
sfida impunita l’aquile romane.

Publia
(con premura)
E il prince prigionier!..

Aureliano
Purché nemico
di Zenobia ritorni, io gli perdono,
sciolgo i suoi lacci e lo ripongo in trono.

(Esce Licinio.)

Licinio
De’ Palmireni il duce, Augusto, chiede
di presentari a te.

Aureliano
Venga.

Publia
(Che fia?)

(Licinio fa avanzare Oraspe.)

Oraspe
Zenobia ad Aurelian salute invia.
Di favellarti brama, ove ti piaccia
che venir possa illesa
dalle guardate mura
al tuo campo, e partir.

Aureliano
Venga: è sicura.

(Oraspe parte.)

De’ Persi prigionieri, al manco lato
della tenda, si tragga
il numeroso stuolo, e qui si schieri
il drappel de’ tribuni e de’ guerrieri.

Publia
Sul proprio fato incerta
forse pace sospira.

Aureliano
E’ troppo altera,
onde s’esponga all’onta
della ripulsa mia. Pensar conviene
che alta cagion la mova.

Publia
Ella già viene.

 

Scena nona
S’apre il padiglione a sinistra, ove si scorge Zenobia sopra un magnifico carro contutto il suo seguito, parte del quale porta ricchi doni.
Aureliano si pone sopra una sedia elevata. Coro di guerrieri romani e di donzelle palmirene. Oraspe, Licinio e Publia

 

Coro de’ Romani
Venga Zenobia, o Cesare,
e da te pace implori.
Venga, e in Augusto onori
dell’Asia il domator.

Coro di Donzelle
Possan Zenobia e Cesare
depor lo sdegno antico;
si stringa in nodo amico
belleza col valor.

(Durante il canto del coro, Zenobia scende dal carro ed entra nel padiglione con Oraspe.)

Zenobia
Cesare, a te mi guida
gratitudine e amor. De’ Persi il prence
per me pugnò: vinto rimase, e dura
nel roman campo servitù sostiene;
vengo a scioglier, signor le sue catene.

Publia
(Ah! lo previdi.)

Aureliano
Invan chiedi, Regina,
la libertà d’Arsace: egli di Roma
si è fatto traditor; né invendicato
Roma lasciar può mai cotanto oltraggio.
(Che sembianza gentil!)

Zenobia
(Alma, coraggio!)
(mostra i doni che ha recato)
Prezzo d’Arsace io t’offro
quanto l’Asia produce
di più raro per noi; se quel tesoro
che in dono a te recai
poco ti sembra, altro maggior n’avrai.

Oraspe
(Che risponder potrà?)

Aureliano
Poco, o Regina,
Roma conosci e me: dove accordassi
la libertà d’Arsace,
mi recheresti invano i doni tuoi...
Dona Aurelian, non vende, i servi suoi.

Zenobia
Forse avverrà che il ferro,
più che i tesori miei, porga a lui scampo.

Aureliano
Dunque guerra tu vuoi?

Zenobia
T’invito in campo.

(S’apre la tenda dalla parte destra, e si vedono prostrati tutti i prigionieri.)

Aureliano
Pria di partir, mira e contempla in loro
il tuo destin: cedi, Zenobia, e tutti
a te li dono, ed a te rendo Arsace.

Zenobia
No: di viltà non è il mio cor capace.

Prigionieri
(stendendo le braccia a Zenobia)
Cedi, cedi: a lui t’arrendi...
Senti, o Dio, di noi pietà!
Ah! Regina, a noi tu rendi
pace, patria e libertà.

Donzelle
Deh cedi...

Zenobia
(interrompendo con sdegno)
Ah no: voi lo sperate invano.
Giacché tanto Aureliano
seppe negar, che il prigioniero io veda
permetta almen; per pochi istanti il chiedo.

Publia
(Che pretende?)

Licinio
(Che vuole?)

Aureliano
Io lo concedo.
Ti fia scorta Licinio. - Ah pensa in pria,
che ti prepari la rovina estrema.
Mira il perglio a cui sei presso, e trema.

Zenobia
Tremar Zenobia? Ah! finché resta un brando,
tremar degg’io? non è, non è fecondo
il Tebro sol d’eroi:
Si sa morir da forti anche fra noi.
Là pugnai; la sorte arrise
a Palmira e al braccio mio:
quel gran giorno non oblio,
quel gran giorno ancor verrà.

Coro de’ Romani
Se non vuoi da Roma pace,
ceppi e morte a te darà.

Donzelle e Coro di prigionieri
Senti oh Dio! pietà d’Arsace.
Senti oh Dio! di noi pietà.

Zenobia
Non piangete, o sventurati,
in catene, è ver, gemete;
ma fratelli e figli avrete
per donarvi libertà.

Romani, prigionieri e Donzelle
Cedi, cedi; il fato istesso
tutti, tutti opprimerà.

Zenobia
Palpito insieme, oh Dio!
e di furore avvampo.
(ai prigionieri)
Voi rimanete: addio.
(ai Romani)
Voi m’attendete in campo.
Un Dio mi sprona all’armi,
un Dio mi reggerà.

Prigionieri
Vanne: fra il sangue e l’armi
il cor ti seguirà.

Romani
Vanne: fra il sangue e l’armi
l’orgoglio tuo cadrà.

(Zenobia parte scortata da Licinio, indi Oraspe e seguaci.)

 

 

Scena decima
Aureliano e Publia

 

Aureliano
Chi mai creduto avria
tanta costanza in lei
e sì rara beltà? Quasi io cedea;
e s’ella in atto umile
chiesto pietà m’avesse, in quell’istante.
Forse io poteva...

Publia
(Ah! fosse Augusto amante!)
Troppo Zenobia è altera,
onde possa al tuo piè giammai prostrata
chieder pietade e pace.

Aureliano
La sventura d’Arsace
e il suo stesso periglio a questo passo
forse la ridurrà: potrebbe il prence
in lei temprare quell’orgolio insano.

Publia
Voglian gli Dei che tu non speri invano!

Aureliano
Ma se non cede e sfida
il mio rigor, per sé, per lui paventi;
non tradirò di Roma
la gloria mai, né tradirò la mia:
m’avrà qual più desia,
generoso o crudele; o in questo giorno
chiede la mia pietade,
o coll’amante suo Zenobia cade.
(parte)

 

 

Scena undicesima
Publia sola

 

Publia
Se Zenobia s’arrende, amante Augusto
potrebbe divenir: potrebbe Arsace
amarmi forse un dì. Da voi mi viene
così dolce conforto,
Numi, da voi; ma per pietà non sia
poscia tradita la speranza mia.
(parte)

 

 

Interno d’un antico castello che serve di prigione ad Arsace.

 

Scena dodicesima
Arsace mestamente seduto sopra un sasso, e Zenobia di dentro

 

Arsace
Eccomi, ingiusti Numi,
oppresso e prigionier! come un sol giorno
la sorte mia cangiò! soffrir costante
potrei tutto l’orror de’ mali miei...
Ma Zenobia... ah! Zenobia! io ti perdei.
Chi sa dirmi, o mia speranza,
se mai più ti rivedrò?
Ah la vita che m’avanza
te chiamando i perderò.

Zenobia
(di dentro)
Arsace... Arsace mio...

Arsace
Qual voce!

 

 

Scena tredicesima
Zenobia scortata da Licinio che parte

 

Zenobia
Arsace!..
Vieni, caro al mio sen.

Arsace
Zenobia! oh Dio!
Sei pur tu? ti riveggo? ah qual mi trovi?
Qual m’è forza lasciarti!

Zenobia
Ah! tutto io sento
in sì fiero momento
l’orror del mio destin...

Arsace
Cara, io formai
quest’unico desire...
Rivederti una volta e poi morire.

Zenobia
No, non morrai: tutto a versar son pronta
il sangue mio pur che tu viva... ah! spera:
per te combatto, avrò vittoria intera.

Arsace
Ah! non voler, mia speme,
avventurar tuoi giorni: io ti scongiuro.
Salvati per pietà: l’empio nemico
di tua sconfitta aver non possa il vanto.

Zenobia
Deh taci, ahimè!.. parlar mi vieta il pianto.

Arsace
Va’: m’abbandona, e serba
i tuoi bei giorni, o cara:
deh! vivi, e meno amara
sarà la morte a me.

Zenobia
No: non ti lascio: io moro
se a te non vivo unita.
Dipende la mia vita
idolo mio da te.

Arsace
Solo rammenta almeno
dell’amor nostro i dì.

Zenobia
Mi strappi il cor dal seno
nel favellar così.

Zenobia e Arsace
Che barbara stella
mirò la mia cuna!
Se coppia sì bella
divide fortuna!
Ah! solo al dolore
amore ci unì.

 

 

Scena quattordicesima
Aureliano con seguito e detti

 

Aureliano
(alle guardie che tolgono le catene ad Arsace)
Eseguite. Arsace, ascolta,
sento ancor di te pietà.
Ad offrirti un’altra volta
vita io vengo e libertà.

Zenobia
Oh gioia!

Arsace
(a Zenobia)
Ah! mia tu sei!

Aureliano
Ma la Regina...

Arsace
Parla.

Aureliano
Abbandonar la dei.

Zenobia
Che sento?

Arsace
Abbandonarla!

Aureliano
Il voglio.

Arsace
A questo prezzo
la libertà disprezzo,
morte terror non ha.

Aureliano
E il beneficio mio...

Arsace
Io lo ricuso.

Aureliano
Indegno!

Zenobia
(accorrendo ora all’uno ora all’altro)
Arsace... Augusto... oh Dio!

Aureliano
Piombi su te lo sdegno...

Zenobia
Io lo difendo.

Aureliano
(rivolgendosi a Zenobia)
Trema.
S’appresta l’ora estrema...
L’audace...

Zenobia
Ahimè!

Aureliano
Morrà.

(Pausa. Aureliano li contempla con furore. Arsace e Zenobia restano addolorati, indi corrono ad abbraciarsi.)

Aureliano
Ah! sento che assai
lo sdegno frenai.
In ambi l’offesa
punita sarà...
Ma calma il rigore
amore e pietà.

Zenobia e Arsace
Serena i bei rai,
morire mi fai.
In nostra difesa
amor pugnerà...
Quel barbaro core
orrore mi fa.

 

 

Scena quindicesima
Licinio e coro di Romani; Oraspe e coro di Palmireni con tutto il seguito di Zenobia; gli uni rivolgendosi a Zenobia, gli altri ad Aureliano.

 

Coro
Vieni all’armi: i tuoi guerrieri
di novello ardor son pieni.
Vieni all’armi; al campo vieni
a pugnar e a trionfar.

Zenobia
(ad Arsace)
Vado: addio; (ad Aureliano) Colà t’aspetto.

Aureliano
Si dividano.

Arsace
O tormento!
Mia Regina!

Zenobia
Mio diletto!

Coro
Vieni; corrasi: al cimento.

(Le donzelle di Zenobia la circondano supplichevoli.)

Donzelle
Va’: tu sola, Arsace e il regno
puoi difendere e salvar.

Zenobia e Arsace
Caro/cara amante, nel lasciarti
io mi sento il cor gelar.

Aureliano
O mio cor, per vendicarti
devi l’ira soffocar!

Zenobia e Arsace
Ancora un addio...
mancare mi sento...
coraggio cor mio...
All’armi, al cimento
Tu vinto sarai,
Tu spera: vivrai,
saprò/saprai di quel perfido
l’orgoglio domar.

Aureliano
Quest’ultimo addio
vi accresca tormento...
Vendetta desio:
All’armi... al cimento.
Tu trema, morrai.
Tu vinta sarai.
(Saprò di quei perfidi
l’orgoglio domar.)

Licinio, Oraspe e Coro
Di nostra vendetta
è giunto il momento.
Deh vieni, t’affretta.
All’armi... al cimento.

Licinio e Romani
(a Zenobia)
Tu vinta sarai.

Oraspe e Palmireni
(ad Aureliano)
Tu vinto sarai.

Licinio, Oraspe e Coro
Con noi vincerai
saprem della perfidea/di quel perfido
l’orgoglio domar.

Atto Secondo

Vaste stanze sotterranee, dove Zenobia avrà riposto i suoi tesori; scala tortuosa che vi dà l’accesso, e diverse altre entrate.

Scena prima
Donzelle e Grandi del regno in attitudine di spavento e di estrema agitazione

 

Grandi del regno
Del Cielo, ahi miseri!
piombata è l’ira.

Donzelle
Vinta è Zenobia.
Cadde Palmira.

Tutti
Ceppi e ritorte,
rovina e morte,
il fato barbaro
ci preparò.

Grandi
O Dei! ricovero
più non rimane.

Donzelle
Per tutto innondano
l’armi romane.

Tutti
Ed il furore
del vincitore
forse in Zenobia
si consumò.

Grandi
Dolente popolo,
chi ti mantiene!

Donzelle
Cadente patria,
chi ti sostiene!

Tutti
Ceppi e ritorte,
rovina e morte,
il fato barbaro
ci preparò.

Scena seconda
Zenobia senz’elmo, tutta dimessa, comparisce sulla sommità delle scale e discende

Zenobia
Tutto è perduto. Per Augusto e Roma
il Ciel si dichiarò. Cadde Palmira,
ed alla sua caduta invan sostegno
l’Asia intera si fece: in un sol giorno
l’Asia intera fu vinta... oh pena! oh scorno!
(rivolgendosi ai Grandi e alle donzelle che la circondano)
Miseri... ahimè! non resta
patria per voi... la patria è serva, e servi
i figli vostri... unica speme è morte...
Nulla d’amaro ha questa,
quando toglie all’infamia... ed io... ma parmi
udir d’armati e d’armi
lo strepito appressar... giunge Aureliano...
Ove fuggo?.. ogni via
chiusa al mio scampo io miro...
Lassa! dove mi celo? ove m’aggiro?

(Esce Aureliano: tutti affollano supplichevoli innanzi a lui.)

 

 

Scena terza
Aureliano fa cenno a loro d’alzarzi e di partire, indi si volge a Zenobia, la quale sarà in disparte, disdegnosa, ecc

 

Aureliano
Invan, Zenobia, in queste
remote stanze il tuo rossor nascondi:
ti segue in ogni lato
l’ira di Roma, e in pochi istanti fia
pubblico il tuo rossore e l’ira mia.

Zenobia
Vincesti, Augusto; è giunta
Palmira in tuo poter: l’Asia sconfitta
piega la fronte incatenata e doma;
ma per Augusto e Roma
il maggior a domar nemico avanza...

Aureliano
Un nemico? e qual è...

Zenobia
La mia costanza.

Aureliano
Audace! e che pretendi! esci, e d’intorno
mira in un breve giorno
quanta strage de’ tuoi fece il mio brando:
quando in catene, e quando
strascinata sarai sul Campidoglio,
allor, superba, deporrai l’orgoglio.

Zenobia
Lieve impresa non è: poche finora
di Asia Regine de’ romani duci
il trionfo adornar; l’odio nel mondo
contro il Tebro oppressor vive tutt’ora;
vi son Cleopatre e Sofonisbe ancora.

Aureliano
Se udir volessi, ingrata,
la maestà di Roma, in pochi istanti
dovrei punirti; ma per te mi parla
un’altra voce più soave al core:
puoi disarmar, Regina, il mio furore.
Se libertà t’è cara,
se brami regno e pace
cedi, abbandona Arsace:
io ti offro gloria e amor.

Zenobia
Taci: è mia gloria sola
d’Arsace il puro affetto:
se vivo in quel bel petto
sono Regina ancor.

Aureliano
Lo fosti.

Zenobia
Ancor lo sono.

Aureliano
Tutto perdesti.

Zenobia
Il trono.

Aureliano
Insana! e che t’avanza?

Zenobia
Fama, virtute e onor.

Aureliano
(Prima costanza mia,
invan ti chiamo al cor:
benché crudel mi sia
mi piace il suo rigor.)

Zenobia
(Prima costanza mia,
non ti partir dal cor:
benché fatal mia sia
non curo il suo rigor.)

 

 

Scena quarta
Publia e Licinio, frettolosi, e deti

 

Publia e Licinio
Corri Augusto, Arsace è sciolto.

Zenobia e Aureliano
Per qual mano?.. oh Ciel!.. che ascolto?

Publia e Licinio
Improvviso Oraspe armato
di gran turba secondato
il suo carcere assalì.

Aureliano
Ed il prece?

Zenobia
Oh Dei!

Publia e Licinio
Fuggì!

Aureliano
Accorrete, la fuga impedite.
Non perdete, guerrieri, un istante.

Zenobia
Santi Dei, l’opra vostra compite,
ed in salvo guidate l’amante.

Aureliano
Non sperarlo, fra pochi momenti
a’ suoi lacci ritorno farà.

Zenobia
Il favore degli astri clementi
al tuo sdegno sottrarlo saprà.

(Licinia parte con guerrieri.)

Aureliano
Non sperar che si cangi tua sorte;
sarà breve il tuo folle contento:
quanto scende il castigo più lento,
trema ingrata, più crudo sarà.

Zenobia
Ah! compensa l’acerba mia sorte
questo nuovo improvviso contento:
venga pure l’estremo momento,
men crudele la morte sarà.
(partono)

 

 

 

Amena collina alle sponde dell’Eufrate: al fondo varie montagne scoscese con cadute d’acqua che si perdono nel fiume.
Varie capanne di pastori sparse qua e là.

 

 

Scena quinta
Pastori e pastorelle a gruppi sparsi per la scena, in festa e in gioia

 

Pastori
L’Asia in faville è volta,
combattono i possenti,
sol tra pastori e armenti
discordia entrar non sa.

Tutti
O care selve, o care
stanze di libertà!

Pastorelle
Non fia che ferro ostile
brillar fra noi si veda,
ché non alletta a preda
la nostra povertà.

Tutti
O care selve, o care
stanze di libertà!

Pastori
Tranquilli il sol ci lascia
allor che si ritira.

Pastorelle
Tranquilli il sol ci mira
quando ritorno fa.

Tutti
O care selve, o care
stanze di libertà!
(si allontanano tutti, e si vedono di tempo in tempo in distanza come occupati a qualche campestre lavoro)

 

 

Scena sesta
Arsace discende da una strada montuosa, avviandosi all’amena collina

 

Arsace
Dolci silvestri orrori, amiche sponde!
Come è soave dopo tanti affanni
l’aura che da voi spira! ahimè! lontano
dalle umane grandezze in seno a voi
volentieri vivrei
i pochi giorni miei; ma più possente,
amor mi sprona all’armi, e a voi m’invola
colei che nel mio seno imperio ha sola.
Perché mai le luci aprimmo,
caro bene, in regia cuna,
se ci toglie la fortuna
quanto a noi promise amor?
Più felice in mezzo ai boschi
al tuo fianco, oh Dio! vivrei:
nel tuo core io regno avrei,
tu l’avresti nel mio cor.
Qual lieto suono!..

 

 

Scena settima
I pastori che si era dispersi entrano di nuovo in iscena

 

Arsace
Ah! son pastori... Oh! voi
fortunate famiglie! almen son puri
fra questi ameni chiostri
come l’onda tranquilla i giorni vostri!
(Al vedere un guerriero i pastori restano sbigottiti; Arsace di un cenno li rassicura.)

Un pastore
Ah che vedo? Un guerriero! O tu che in questo
solingo albergo arrivi, e mostri in volto
sembianze di pietà, quali novelle
rechi a noi di Palmira?

Arsace
Infauste nove...
Tutto è perduto...

Un pastore
E Arsace?

Arsace
O buon pastore!
Non chiedermi di lui...

Un pastore
Tu gemi... Oh! parla...
(avvicinandosi ad Arsace, e ravvisandolo)
Dimmi... che miro?.. qual aspetto... Dio!
Di quella voce il suono...
Ah! prence...

Arsace
Non t’inganni. Arsace io sono,
sì, vinto e fuggitivo
vedi di Persia il prence...

Un pastore
A piedi tuoi
ci prostriamo, signor.

Tutti i Pastori
Resta fra noi.

Arsace
No! non posso al mio tesoro
sacri sono i giorni miei,
e ch’io spiri appresso a lei
vuole amore, il vuole onor.

 

 

Scena ottava
Oraspe con gran numero di Palmireni e Persiani

 

Oraspe e Guerrieri
Vieni, o prence: è già compita
di Palmira la rovina:
cadde, oh Dio! la tua Regina
in poter del vincitor.

Arsace
Ah! che sento... ahimè, che pena!
Ah! si corra... o cor, costanza!
Perché darmi, o ciel, speranza,
e piombarmi in nuovo orror!

Pastori
Resta, o prence: ah contro il fato
non ha forza uman valor.

Oraspe e Guerrieri
Vinceremo e Roma e il fato
se ci guida il tuo valor.

Arsace
Non lasciarmi in tal momento,
bel pensier di gloria e amor.
Se mi segui nel cimento
lieta è l’alma e balza il cor.
(volgendosi ai guerrieri)
A seguitarmi in campo
ognun di voi si appresti:
abbia Palmira scampo,
salva Zenobia resti,
e forse l’Asia intera
si tolga a Roma ancor.

Pastori
Ah! se ritorni in campo
forse non hai più scampo,
e con Zenobia perdi
i tuoi bei giorni ancor.

Arsace e Guerrieri
Ah! sì, ci guida in campo,
trovi Zenobia scampo,
e colla patria resti
libera l’Asia ancor.

 

 

Atrio della reggia abitata dal vincitore.

 

 

Scena nona
Aureliano e Publia

 

Publia
La sicurezza tua, perdona Augusto,
esser potria fatale. E’ manifesto
al popol tutto omai,
che Arsace i vinti aduna, e tu nol sai!

Aureliano
Gl’aduni pur; che fia perciò? qual ponno
forza opporre al destin le genti dome?

Publia
Molta, o signore: il lor coraggio.

Aureliano
E come?
Non fugge Arsace! oh fugga pur: mi basta,
che a me resti Zenobia. Io l’amo, o Publia,
e se consente amarmi,
il braccio punitor fia che disarmi.

Publia
Ma non vedesti? ella t’abborre, e solo,
benché misero, adora
di Persia il prence. Ah, sai che in nobil petto
la fiamma che l’accende eterna dura,
anzi s’accresce amor colla sventura.
Ecco Zenobia...

Aureliano
Su quel cor si tenti
l’ultimo sforzo.

 

 

Scena decima
Zenobia, indi Licinio, e detti

 

Aureliano
E’ tuo, Zenobia, ancora
questo trono, se vuoi; placati, e meco
a regnar sulla terra...

Licinio
Piomba Arsace, signor, a nuova guerra.

Publia
(Non tel dicea?)

Aureliano
(Che sento!)

Zenobia
(Io spero ancora.)

Aureliano
Senza frappor dimora
va’, Licinio, a punir la nuova offesa.

Licinio
Ardua è, signor, l’impresa:
de’ fuggitivi Persi
adunò le falangi, e forti schiere
s’accompagnar per via. Come torrente
che soverchia la sponda,
urta i Romani e la cittade inonda.

Publia
(Oh periglio!)

Aureliano
(Oh furor!)

Zenobia
(Oh gioia!)

Licinio
Avanti
il popolo gli corre, e freme, e seco
armato entra in Palmira; all’improvviso
colte le tue legioni, oppor difesa
tentaro invan, volte ne andaro in fuga.
Estremo è il danno, e il braccio tuo richiede.

Aureliano
Corrasi... Io fremo... A me rapirti ei crede?
Fuggia quel vile! bramerà ben tosto
che al mio furor nascosto
l’avessero per sempre
i libici deserti... Oh! qual gli appresto
supplizio atroce!... Ultimo oltraggio è questo.
Più non vedrà quel perfido
del nuovo giorno i rai:
altro che il freddo cenere,
barbara, non avrai
il tuo dolor da pascere,
il tuo fatale amor.
(Zenobia rimane spaventata; Aureliano la guarda, e comincia ad intenerirsi.)
Ma tu piangi! Ah! sì, lo vedo,
di placarmi hai tempo ancor.
I suoi giorni a te concedo
se mi doni il tuo bel cor.

(Odesi gran tumulto di dentro e voci che confusamente gridano.)

Coro
Arrestate... olà... vendetta...
Che spavento!.. che timor!

Publia e Licinio
Senti... Augusto... va’... ti affretta;
forse Arsace è vincitor.

Aureliano
Sì, vendetta! assai d’inciampo
fu l’indegna al mio valor...
Trema... attendi... smanio, avvampo,
mille furie sento in cor.
(parte minaccioso con Licinio)

 

 

Scena undicesima
Publia e Zenobia

 

Publia
Vedesti! oh come irato
parte Aureliano da noi; per te pavento,
e tremo per Arsace.

Zenobia
Avvi nel cielo
un Nume che combatte
degl’oppressi a favor contro Aureliano.

Publia
Nume non v’ha contro il destin romano.
Ma!.. s’appressa alla reggia
d’armi fragor!..

Zenobia
Suono guerrier s’ascolta...
Non tradirmi una volta
oh speranza fallace!

Publia
Corrasi; ah! forse è già vicino Arsace.
(parte)

 

 

Scena dodicesima
Zenobia, indi Oraspe

 

Zenobia
Già manca il dì: Numi, che imploro, ah! fate
che quest’orribil notte
l’ultima sia de’ mali miei... più presso
il tumulto si fa... che stato è il mio!
Che orror!.. ma... veggo, oh Dio!
Sbigottiti fuggir veggo i custodi...
Un guerrier s’avvicina...
Oraspe...

Oraspe
Ah! ti ritrovo, o mia regina!
Fuggi, vien via con me.

Zenobia
Dimmi... d’Arsace
che fu?

Oraspe
Combatte ancor, ma la vittoria
cerca invano afferrar; io disperato
infino a te la via m’apersi; ah vieni...
pria che tutto si perda, i giorni tuoi
salva, e ti serba a miglior fato.

Zenobia
Oh pena!

Oraspe
T’affretta...

Zenobia
Ove fuggir!.. mi reggo appena.

 

 

 

Luogo remoto presso la reggia. Notte con luna.

 

 

Scena tredicesima
Arsace, indi Zenobia ed Oraspe

 

Arsace
Inutil ferro!.. che fai meco?.. Io sono
un’altra volta fuggitivo e vinto.
Oh Zenobia, per te! - Notte funesta,
addensa i veli tuoi: lume di giorno
mai più risplenda alla mia trista vita,
se Zenobia è per sempre a me rapita.
Alcun si appressa... Ah! fui scoperto...
(si ritira in disparte)

(Esce Zenobia con Oraspe.)

Oraspe
Al mio
braccio ti reggi.

Zenobia
Ove mi guidi?

Oraspe
In salvo,
se lo concede il Ciel.

Zenobia
Tremante e incerta
fra quest’ombre m’aggiro.

Arsace
Qual voce il cor mi scosse!

Zenobia
(appresandosi)
Ah! qual sospiro!

Arsace
Zenobia!

Zenobia
Arsace!

Arsace
E’ dessa...
(correndo a lei con gioia)

Zenobia
Oh gioia!

(Intanto Oraspe si aggira in fondo alla scena come per esplorare e si perde.)

Arsace
Alfine
ti stringo a questo petto.

Zenobia
Pur ti abbraccio una volta, o mio diletto.
Mille sospiri e lagrime
conforta un sol contento.
Per così bel momento
si può soffrire ancor.

Arsace
Cari mi sono i gemiti
sparti da te, lontano.
Ah che non piansi invano,
se a te mi rende amor.

Zenobia
Dolce notte!

Arsace
Amiche tenebre!

Zenobia
Sempre insieme!

Arsace
Uniti ognor!
Se la tua bella immagine
sfidar mi fe’ la sorte,
io sfiderò la morte
or che ti stringo al cor.

(Si sente strepito d’armi. I due amanti corrono ansiosi a vedere e ritornano.)

Zenobia
Giunge Augusto...

Arsace
Un’altra via...
(per avviarsi alla sinistra)

Zenobia
Vien Licinio...

Arsace
(disperato)
Il brando ho ancora...
(raccogliendo la spada)

Zenobia
Ah! che fai?

Arsace
Morire in pria...

Zenobia
Teco io moro...

Arsace
(per ferirla)
Ebben, si mora...
Ah! che tento!.. ora funesta!
(allontanandosi precipitoso)

Zenobia
Vibra il colpo.

Arsace
(per ferirsi)
Io solo...

(Aureliano e Licinio sopravvengono seguiti da numeroso drappello con faci. Arsace è trattenuto.)

 

 

Scena quattordicesima
Aureliano e detti

 

Aureliano
Arresta.
Si disarmi il traditor.
(Arsace è disarmato.)
Poca pena, indegni, è morte:
voi vivrete in pianto amaro:
del rossor che vi preparo
sarà Tebro spettator.

Zenobia
Per pietà...

Aureliano
Pietà non sento.

Arsace
Morte io voglio...

Aureliano
No: vivrai.

Arsace
L’onta mia tu non vedrai.

Zenobia
Non godrai del mio rossor.

Aureliano
Ah! perché mai quell’anime
nate non sono in Roma!
Cori sì grandi e intrepidi
invidio all’Asia doma,
e mille ignoti palpiti
calmano il mio rigor.

Zenobia e Arsace
Vivi: saran nostr’anime
esempio al mondo e a Roma;
tutto non resta al barbaro
l’onor dell’Asia doma,
quando il mio cor non palpita,
quando non hai timor.

Aureliano
Entro carcere distinto
li traete, o fidi miei.

Arsace
Infierir tu sai nel vinto,
sei Romano...

Zenobia
E Augusto sei.

Aureliano
Alme audaci! Parti. Va’.

Zenobia e Arsace
Io parto... (oh dolore!)
M’abbraccia, mio bene.
Deh scemi l’orrore
di nostre catene,
l’amor, che seguace
d’entrambi sarà...
(Il pianto s’asconda,
che il seno m’innonda,
che freno non ha.)

Aureliano
(Cotanto valore
sorpreso mi tiene.)
Aggravi l’orrore
di vostre cattene
l’idea che la pace
giammai vi unirà...
(La nova s’asconda
che il seno m’innonda
ingiusta pietà.)
(Partono.)

 

 

Atrio come sopra.

 

 

Scena quindicesima
Publia sola

 

Publia
E’ deciso il destino
di Zenobia e dell’Asia. Oh Arsace! o caro
e sventurato Arsace!
Quanto ti costa il tuo funesto amore!
Zenobia il tuo bel core
a me rapisce, a te la vita invola...
Posso salvarti io sola,
e salvarti vogl’io
col sacrificio d’ogni affetto mio.
Non mi lagno che il mio bene
doni ad altra Amor tiranno;
ma soffrir non so l’affanno
di vederlo, oh Dio! spirar.
Goda pur di quella pace
che godere a me non lice;
pur che viva e sia felice
saprò tutto sopportar.

 

 

Scena sedicesima
Aureliano con gran seguito, Publia che ritorna, indi Licinio

 

Aureliano
(Scacciar mi è forza alfine
questo malnato amor... Soli si ascolti
l’offesa maestà: della superba
si abbassi omai l’orgoglio,
mi segua con Arsace al Campidoglio.)

Publia
(Coraggio, o cor; è necessario il passo,
se lo comanda amor.) A’ piedi tuoi
vedi Augusto...
(per inginocchiarsi)

Aureliano
(trattenendola)
Che fai? Publia! che vuoi?

Publia
La tua clemenza imploro;
di Persia il prence adoro
senza speranza io pur; ma non poss’io
soffrir che il tuo rigore
morte o infamia gli appresti. Al mondo e a lui
sommo di tua virtute esempio dona,
ogni oltraggio ti scorda, e gli perdona.

Licinio
Tutti, o signore, di Palmira i Grandi
sul destino tremanti
della vinta città, vengon pietade
ad implorar da te.

Publia
Placati, Augusto.
Tu non rispondi!.. e che ti costa mai
un atto di virtù, perché i miei voti
e d’un popolo intiero il pianto sdegni?

Aureliano
Son quegli audaci di perdono indegni.

 

 

Scena ultima
Escono i Grandi del regno: addolorati e supplichevoli si prostrano ad Aureliano, indi Arsace, Zenobia ed Oraspe fra le guardie

 

Grandi
Nel tuo core unita sia
la clemenza col valor!
Siam tuoi figli. Augusto, oblia
che sei nostro vincitor.

Aureliano
(alle guardie, che partono)
I prigionieri a me.

Grandi
(Che mai risolve?)

Publia
(Che mi lice sperar?)

Aureliano
(Onta non faccia
un estremo rigore al nome mio.
Degna vendetta è un generoso oblio.)
(Escono Arsace, Zenobia ed Oraspe.)
Mirate; ognun per voi perdono implora:
ed d’ottenerlo ancora
speme vi resta. Eterna fede a Roma
in faccia al vinto e al vincitor giurate;
liberi siete, ed a regnar tornate.

Zenobia
(Oh generoso!)

Arsace
(Oh grande!)

Publia
(Oh magnanimo eroe!)

Zenobia
Vincesti. A Roma
giuro salda amistà.

Arsace
Giuro in tua mano
pace al Tebro e tributo ad Aureliano.

Aureliano
Copra un eterno obblio
ogni passato errore:
vi stringa a noi l’amore,
che le vostr’alme unì.

Tutti i cori, Publia, Licinio e Oraspe
Torni sereno a splendere
all’Asia afflitta il dì.

Zenobia
Il giuramento mio
porterò sempre in core;
lo custodisca amore,
che le nostr’alme unì.

Tutti
Torni sereno a splendere
all’Asia afflitta il dì.

Arsace
Amico a te son io,
sarò Romano in core:
serbi il gran voto amore,
che le nostr’alme unì.

Tutti
Torni sereno a splendere
all’Asia afflitta il dì.

Fine

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