in italiano
"La bella Gigogin"
parole di (?). La canzone fu completata forse unendo parti di vecchi canti e canzoni popolari italiane. La parola Gigogin è un termine piemontese, diminutivo di Teresa. Dai Carbonari era impiegato per significare l'Italia.
Si diceva che Gigogin fosse stata una ragazza piemontese, fuggita dal Collegio per unirsi al corpo speciale dei bersaglieri, al comando del generale La Marmora, durante la prima guerra d’Indipendenza.
La ragazza faceva da portaordini, e infermiera. Si dice fosse l'amante di Goffredo Mameli (Genova Voltri, 5 settembre 1827-Roma, 6 luglio 1849), autore nel 1847 insieme al compositore Michele Novaro (Genova, 23 ottobre 1818-Genova, 21 ottobre 1885) del nostro inno nazionale.
Ma non se ne fece nulla, anche per via dei doppi sensi. Il testo lascia intendere che Gigogin abbia allietato i soldati anche in altri modi. L’onomatopea “Cium, cium, cium” del rumore dei piatti che accompagna gli ambigui versi finali, è assonante con il verbo lombardo "ciulare", che significa "fare sesso".
musica di Paolo Giorza (Milano, 11 novembre 1832-Seattle, 4 maggio 1914). Il compositore milanese si trasferì in Australia nel 1871. È considerato uno dei massimi compositori australiani dell'Ottocento.
La sua canzone, in forma di polka dedicata al popolo milanese, fu cantata ufficialmente in pubblico il 31 dicembre del 1858 nel Teatro Carcano di Milano, durante un concerto offerto dalla Banda civica diretta dal maestro Gustavo Rossari (Milano, 27 dicembre 1827-30 novembre 1881).
fotografia
di Gustavo Rossari
Tale fu l'entusiasmo che il pezzo fu replicato per ben otto volte.
Dopo l’unificazione d’Italia ci fu chi propose di farne l’inno nazionale. Ancora oggi è la canzone ufficiale dei Bersaglieri.
frontespizio originale
della Canzone
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La bella Gigogin
Rataplàn tambur io sento
che mi chiama alla bandiera
oh che gioia oh che contento
io vado a guerreggiar.
Rataplàn non ho paura
delle bombe e dei cannoni
io vado alla ventura
sarà poi quel che sarà.
E la bella Gigogìn col tremille-lerillellera
la va a spass col sò spingìn col tremille-lerillerà.
Di quindici anni facevo all'amore
dàghela avanti un passo
delizia del mio cuore.
A sedici anni ho preso marito
dàghela avanti un passo
delizia del mio cuore.
A diciassette mi sono stradìta
dàghela avanti un passo
delizia del mio cuor.
La vén, la vén, la vén a la finestra
l'è tutta, l'è tutta, l'è tutta inzipriada
la dìs, la dìs, la dìs che l'è malada
per non, per non, per non mangiar polenta
bisogna, bisogna, bisogna aver pazienza
lassàla, lassàla, lassàla maridàre
bisogna, bisogna, bisogna aver pazienza
lassàla, lassàla, lassàla maridàr.
Le baciai, le baciai il bel visetto,
cium, cium, cium,
La mi disse, la mi disse: oh mio diletto
cium, cium, cium,
là più basso, là più basso, in quel boschetto,
cium, cium, cium,
anderemo, anderemo a riposar.
Ta-ra-ta-ta-ta-tam.
E la bella Gigogìn col tremille-lerillellera
la va a spass col sò spingìn col tremille-lerillerà.
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