Wolfgang Amadeus Mozart
(1756-1791)
Mitridate, rè di PontoDramma per musica in 3 Atti KV 87, è stata rappresentata a Milano (Teatro Regio Ducale) il 26 dicembre del 1770
PersonaggiMitridate, re di Ponto e di altri regni (Tenore); Aspasia, sua promessa sposa e già proclamata regina (Soprano); Sifare (Soprano) e Farnace (Contralto), figli di Mitridate e innamorati di Aspasia; Ismene, figlia del re dei Parti, innamorata di Farnace (Soprano); Marzio, tribuno romano, amico di Farnace (Tenore); Arbate, governatore di Ninfea (Soprano)
ATTO I
Scena I
Piazza di Ninfea, con veduta in lontano dalla porta della città. Sifare con seguito d'uffiziali e soldati, ed Arbace coi Capi de'cittadini, uno de'quali porta sopra un bacile le chiavi della città.
Arbate
Vieni, Signor. Più che le mie parole l'omaggio delle schiere, del popolo il concorso, e la dipinta sul volto di ciascun gioia sincera abbastanza ti spiega in questo giorno quanto esulti Ninfea nel tuo ritorno.
Sifare
Questi di vostra fede contrassegni gradisco. Altri maggiori però ne attesi, e non dovea ricetto qui Farnace trovar.
Arbate
Del regno adunque può già la gelosia render nemico Sifare del german?
Sifare
La bella Greca che del gran Mitridate gli affetti meritò, di questo seno fu pur anche la fiamma, ed è la prima cagion, benchè innocente delle gare fraterne.
Arbate
Oh quanto ti precorse colle brame e coi voti il dolente suo cor!
Sifare
Se il ver mi narri, molto a sperar mi resta, e tutto io spero, se di Roma fra il servo e fra'l nemico osa Arbate appigliarsi al partito miglior.
Arbate
Se l'oso! E puoi dubitarne , o Signor? Quel zelo istesso, che al tuo gran genitore mi strinse, in tuo favore qui tutto impegno, e tu vedrai Farnace, mercè del mio valor, della mia fede, girne altrove a cercar e sposa e sede.
[parte col seguito]
Scena II
Sifare
Se a me s'unisce Arbate, che non posso ottener?
Aspasia
Il tuo soccorso, Signor, vengo a implorar. Afflitta, incerta, vedova pria che sposa al miglior figlio di Mitridate il chiedo. Ah non sia vero, che il sangue che t'unisce al tuo germano d'una infelice al pianto prevalga in questo dì. Barbaro, audace, ingiurioso al padre, egli al mio core ch'è libero, che l'odia , impone amore.
Sifare
Regina, i tuoi timori deh calma per pietà. Finch'io respiro, libero è il tuo voler, e andrà Farnace forza altrove ad usar. Ma chi t'adora, se chiami deliquente, sappi ch'io son di lui meno innocente.
Aspasia
Che ascolto, oh Ciel!
Sifare
Non ti sdegnar: diverso dall'amor del germano di Sifare è l'amor. No, mia conquista, se da lui ti difendo, non diverrai. Ma quando t'avrò resa a te stessa, abborrirai quanto il nemico di difensore? Ed io, per premio di mia fè per compiacerti, risolvere dovrò di non vederti?
Aspasia
Dello stato, in cui sono prence, se sei cortese, tanto non t'abusar.
Sifare
Io non ne abuso, allor che ti defendo senza sperar mercè, quando prometto, bell' Aspasia, ubbidirti, e poi celarmi per sempre agli occhi tuoi.
Aspasia
Forse prometti ciò ch'eseguir non sei capace.
Sifare
E ad onta de'giuramenti miei dunque paventi, ch'io possa teco ancora tiranno divenir?
Aspasia
Contro Farnace chiedo aita, o Signor, dall' empie mani salvami pria:Quest'è il mio voto. Allora d'usarmi iniquia forza d'uopo non ti sarà, perch'io t'accordi di vedermi il piacer, e tu fors'anche meglio conoscerai qual sia quel core, ch'ora ingiusto accusar puoi di rigore.
No. 1 Aria
Al destin, che la minaccia,
togli , oh Dio! quest'alma oppressa,
prima rendimi a me stessa
e poi sdegnati con me.
Come vuoi d'un rischio in faccia,
ch'io risponda a'detti tuoi?
Ah conoscermi tu puoi
E'l mio cor ben sai qual è.
Scena III
Sifare
Qual tumulto nell'alma quel parlar mi destò! Con più di forza rigermogliar vi sento speranze mie quasi perdute. Un novo sprone per voi s'aggiunge oggi alla mia virtù.Tronchinsi ormai le inutili dimore, e la mercede, che prometter mi sembra il caro bene, ah si meriti almen, se non s'ottiene.
No.2. Aria
Soffre il mio cor con pace
una beltà tiranna,
lòrgoglio d'un audace,
no tollerar non sa.
M'affanna, e non mòffende
chi può negarmi amore.
Ma di furor m'accende
chi mio rival si fa.
[parte col suo seguito]
Scena IV
Tempio di venere con ara accesa ed adorna di mirti e di rose. Farnace, Aspasia, soldati di Farnace all'intorno e sacerdoti vicini all'ara.
Farnace
Sin a quando, o Regina, sarai contraria alle mie brame? Ah fuggi, sì fuggi, e meco vieni. Te impaziante attende di Ponto il soglio, e ognun vederti brama sua regina e mia sposa. All' ara innanzi dammi la destra. E mentre con auspizio più lieto s'assicura il diadema alle tue tempia le promesse del padre il figlio adempia.
Aspasia
Per vendicare un padre dai Romani trafitto scettri io non ho, non ho soldati, e solo unico avanzo delle mie fortune mi resta il mio gran cor. Ah, questo almeno serbi la fè dovuta al genitore, nè si vegga la figlia porger la man sacrilega, ed audace all'amico di Roma, al vil Farnace.
Farnace
Quasi deboli pretesti son questi, che t'infingi, e chi ti disse che amico di Roma io son? Sposa or ti voglio. [la piglia a forza per mano] E al mio volere omai contrasti invano.
Aspasia
Sifare, dove sei? [guardando agitata per la scena).
Scena V
Sifare
Ferma , o germano, ed in Aspasia apprendi Sifare a rispettar.
Farnace
[ed Aspasia con resentimento]
Intendo, ingrata, meglio adesso il tuo cor. De' tuoi rifiutti costui fore è cagion. Ei di Farnace e' amante più felice, e men ti spiace.
Sifare
[a Farnace]
Suo difensor qui sono. E chi quel core tiranneggiar pretende di tutto il mio furor degno si rende.
Farnace
Con tanto fasto in Colco a favellar sen vada Sifare a' suoi vassalli.
Sifare
In Colco e in questa Reggia così posso parlar.
Farnace Potresti qui pur le mie mani versar l'alma col sangue.
Sifare
[vuol mettere mano alla spada e cosi pure Farnace]
A tanto ardire cosi rispondo.
Aspasia
[trattenendo i due fratelli]
Ah no, fermate.
Scena VI
All'ire freno, Principi, olà. D' armate prore già tutto imgombro il mar, e Mitridate di se stesso a recar più certo avviso al porto di Ninfea viene improvviso.
Sifare
Il Padre!
Farnace
Mitridate!
Arbate
A me foriero ne fu rapido legno Ah si deponga ogni gara fra voi, cessi ogni lite, e meco il padre ad onorar venite.
No.3 Aria
L'odio nel cor frenate,
torni fra voi la pace,
un padre paventate,
che perdonar non sa.
S'oggi il franterno amore
cessa in entrambi e tace,
dal giusto suo rigore,
che vi difenderà?
[parte]
Scena VII
Farnace
Principe, che facemmo?
Sifare
Io nel mio core rimproveri non sento.
Aspasia
Oh ritorno fatal! Sifare, addio.-
No. 4 Aria
Nel sen mi palpita dolente il core;
mi chiama al piangere il mio dolore;
non so resistere, non so restar.
Ma se di lagrime umido ho il ciglio,
è solo, credimi, il tuo periglio
la cagion barbara del mio penar.
[parte , e si ritirano pure i sacerdoti]
Scena VIII
Farnace
Un tale addio, germano, si spiega assai: ma il tempo altro esige da noi. Ritorna il padre, quanto infelice più, tanto più fiero, pensaci: in tuo favore tu pronte hai le tue schiere, a me non manca un altro braccio. Il nostro perdono si assicuri, a luli lìngresso della città si chiuda, e giuste ei dia le leggi, o si deluda.
Sifare
Nota a me stesso io aon, noto abbastanza m'è il genitor: ma quando ritorna Mitridate più non so che ubbidir.
Farnace
Adesso almeno cautamente si celi il segreto comun, nè sia tradito dal germano il german.
Sifare
Saprò geloso anche con mio periglio fido german serbami, e fido figlio.
No.5
Parto: Nel gran cimento
sarò germano e figlio;
eguale al tuo periglio
la sorte mia sarà.
T'adopra a tuo talento;
nè in me mancar gia mai
vedrai la fedeltà.
[parte coi suoi solati]
Scena IX
Farnace
Eccovi in un momento sconvolti i miei disegni.
Marzio
A un vil timore Farnace ancor non s'abbandoni.
Farnace
E quale speranza a me più resta, se nemica fortuna sul capo mio tutto il suo sdegno aduna?
Marzio
Maggior d'ogg'altro fato e'il gran fato di Roma, e pria che sorga nel ciel novella aurora, ne avrai più certe prove.
Farnace
Alla tua fede mi raccomando, amico: il mio periglio tu stesso vedi. In mia difesa ah tosto movan l'aquile altere, a cui precorre la vittoria e il teror. Poi quando ancora sia di Roma maggior l'empio mio fato, ah si mora bensì, ma vendicato.
No.6 Aria
Venga pur, minacci e frema
l'implacabil genitore,
al suo sdegno , al suo furore
questo cor non cederà.
Roma in me rispetti e tema
men feroce e men severo,
più barbaro, o più fiero
l'ira sua mi renderà.
[parte con Marzio seguito da suoi soldati]
Scena X
Porto di mare, con due flotte nacorate in siti oppositi del canale. Da una parte vedutza della città di Ninfea. Si viene accostando al suono di lieta sinfonia un altra squadra di vascelli, dal maggior de'quali sbarcano Mitridate ed Ismene, quegli seguito dalla guardia reale, e questa da una schiera di Parti. Arbate con seguito gli accoglie sul lido. Si prosiegue poi di mano in mano lo sbarco delle soldatesche; le quali si vanno disponendo in bella ordinanza sulla spiaggia.
No.7 Marcia
No.8 Cavata
Mitridate
Se di lauri il crine adorno
fide spiaggie, a voi non torno.
Tinto almen non porto il volto
di vergogna e di rossor.
Anche vinto e anche oppresso
io mi serbo ognor l'istesso
e vi reco in petto accolto
sempre eguale il mio gran cor.
Recitativo:
Mitridate
Tu mi rivedi, Arbate, ma quel più non rivedi felice Mitridate, a cui Roma lungamente fu dato bilanciare il destin. Tutti ha dispersi d'otto lustri i sudor sola una notte a Pompeo fortunata, a me fatale.
Ismene
Il rammentar che vale, Signor , una sventura per cui la gloria tua nulla s'oscura? Tregua i pensier funesti su quest'amico lido per breve spazio almeno abbian da noi. Dove son, Mitridate, i figli tuoi?
Arbate
Dalla Reggia vicina ecco gli affretta al piè del genitore il rispetto e l'amore.
Scena XI
Sifare
Su la temuta destra mentre l'un figlio e l'altro un bacio imprime tutti i sensi del cor, padre t'esprime.
Mitridate
Principi, qual consiglio in sì grand'uopo, e la Colchide e il Ponto, che al tuo valor commisi e alla tua fede, vi fece abandonar?
Farnace
Lìnfausto grido della tua morte l'un dell'altro ingaro quà ne trasse, o Signor. Noi fornunati, che nel renderci rei del trascredito cenno il bel contento abbiam di riveder salvo chi tanto stato è finora e sospirato e pianto!
Ismene
Perchè fra i suoi contenti dissimula Farnace quello, che prova in riveder la figlia del Partico Monarca?
Farnace
Oh rimprovero acerbo!
Mitridate
Entrambi, o figli, men giudice, che padre voi qui mi ritrovate. Il primo intanto l'imprudente trascorso ad emendar tu sii, farnace. Ismene, che amasti, il so, viene tua sposa: in lei Mitridate al combattuto soglio ravvisa un nuovo appoggio: al nodo eccelso, ch'io stesso ricercai, l'alma prepara, e di tal sorte a farti degno impara.
Farnace
Signor...
Mitridate
Ai regi tetti dove in breve io ti seguo , o Principessa, e Sifare e Farnace, scorgano i passi tuoi. Meco soltanto rimanga Arbate.
Ismene
Io ti precedo , o Sire, ma porto nel seno un segreto timor, che mi predice quanto poco il mio cor sarà felice.
No. 9 Aria
In faccia all'ogetto,
che m'arde d'amore,
dovrei sol diletto
sentirmi nel core.
Ma sento un tormento,
che intender non so.
Qual labbro che tace,
quel torbido ciglio
la cara mia pace
già mette in periglio,
già dice che solo
penare dovrò.
[parte ed entral nella città con Sifare e Farnace, seguita dai Parti]
Scena XII
Recitativo
Mitridate
Teme Ismene a ragion: ma più di lei teme il mio cor. Sappilo, Arbate, io stesso dopo il fatal conflitto la fama di mia morte confermar tra voi feci acciò che poi nel giungere improvviso non fossero gli oltraggi a me celati, che soffro, oh Dio, da due miei figli ingrati.
Arbate
Da due tuoi figli?
Mitridate
Ascolta; in mezzo all'ira Sifare da Farnace giusto è ben ch'io distingua. Ma qui che si facea? Forse hanno entrambi preteso amor della Regina. A quale di lor sembra che Aspasia dia più facile l'orecchio? Io stesso a lei in quale aspetto ho da mostrarmi? Ah parlae quanto mai vedesti e quanto sai? Fa, che sia noto a Mitridate ormai?
Arbate
Signor, Farnace appena entrò nella città che impaziente corse a parlar d'amore alla Regina, a lei di Ponto il trono colla destra di sposo offrendo in dono.
Mitridate
Empio! Senza lasciarle tempo a spargere almeno le lagrime dovute al cener mio!
E Sifare?
Arbate
Finora segno d'amore in lui non vidi. E sembra, che degno figlio di Mitridate ei volga sol di guerra pensieri e di vendetta.
Mitridate
Ma pure quale a Ninfea disegno l 'afrettò?
Arbate
Quel di serbasi colla forza dell'armi, e col coraggio ciò che parte ei credea del suo retaggio.
Mitridate
Ah questo è il minor premio che un figlio tal propor si deve. A lui vanne, Arbate, e lo accerta del paterno amor mio. Farnace intanto cautamente si osservi.
Arbate
Il real cenno io volo ubbidiente ad eseguir.- Che mai rivolge in mente!-
[parte]
Scena XIII
Mitridate, guardie reali ed esercito schierato
Recitativo accompagnato
Mitridate
Respira alfin, respira, o cor di Mitridate. Il più crudele de'tuoi timori ecco svanì. Quel figlio si caro a te fido ritrovi, e in lui non vedrai costretto a punire un rival troppo diletto. M'offenda pur Farnace: egli non offre al mio furor geloso che un odiato figlio a me nemico a de'Romani ammiratore antico. Ah se ma l'ama Aspasia, se un afetto ei mi toglie a me dovuto, non speri traditor da me perdono: per lui mi scordo già che padre io sono.
No. 10 Aria
Quel ribelle e quell'ingrato
vuò che al piè mi cada esangue,
e saprò nel empio sangue
più d'un fallo vendicar.
ATTO II
Scena I
Appartamenti.
Recitativo
Ismene
Questo è l'amor, Farnace, questa è la fè che mi giurasti? E quando varco provincie e regni, e al mar m'affido sol per unirmi teco, di conoscermi appena tu mostri, ingrato, ed io schernita amante ti trovo adorator d'altro sembiante?
Farnace
Che vuoi, ch'io dica, o Principessa? È vero che un tempo t'adorai. Da te lontano venne l'ardor scemando a poco a poco, si estinse alfin, e a un nuovo amor diè loco.
Ismene
Anch'io da te lontana vissi finora, e pur...
Farnace
Questi d'amore sono i soliti scherzi, e tu più saggia, senza dolerti tanto de'tradimenti miei, sprezzami infido e consolarti dei.
Ismene
Inver deve assai poco la perdita costar d'un simil bene: ma nata al soglio Ismene deve un altro dovere aver presente. Non basta alle mie pari chi le disprezza il disprezzar. Richede o riparo o vendetta quell'oltraggio ch'io soffro, e a Mitridate saprò chiederla io stessa.
Farnace
Ad iritarlo contro un figlio abborrito poca fatica hai da durar: ma tanto non sperar, no che possa il suo rigore da nuova vita ad un estinto amore.
No. 11 Aria
Va, l'eror mio palesa,
e la mia pena affretta,
ma cara la vendetta,
forse ti costerà.
Quando si lieve offesa
punita in me vedrai
tu stessa accuserai
di troppa crudeltà.
[parte]
Scena II
Recitativo
Ismene
Perfido, ascolta... Ah Mitridate!
Mitridate
In volto abbastanza io ti leggo, o Principessa, ciò che vuoi dir, ciò che tu brami. Avrai di Farnace vendetta. Egli del pari te offende e il genitor. Solo una prova mi basta ancor de'suoi delittim e poi decisa è la sua sorte, nè esser figlio il salverà da morte.
Ismene Parli di morte? Ah Sire.
Mitridate
Vanne, e comincia a scordarti di lui. Più degno sposo forse in Sifare avrai.
Ismene
Ma quello non sarà , che tanto amai.
[si ritira]
Scena III
Aspasia
Eccomi a' cenni tuoi.
Mitridate
Diletta Aspasia, le sventure maggiori saran dolci per me, se pur sventura per te non fosse il mio ritorno. Assai mi son teco spiegato, e il pegno illustre che porti di mia fè, quanto mi devi ti rammenta abbastanza. Oggi nel tempio anche la tua mi si assicuri: Altrove la mia gloria ne chiama, ed io ritorno farò teco alle navi al nuovo giorno.
Aspasia
Signor, tutto tu puoi: chi mi diè vita del tuo voler schiava mi rese, e sia sol l'ubbidirti la risposta mia.
Mitridate
Di vittima costretta in guisa adunque meco all'ara verrai. Barbara, intendo: Tu sdegni un infelice. Più che non credi io ti comprendo, e vedo che il ver pur troppo a me fu detto. Un figlio qui ti seduce e tu l'ascolti, ingrata. Ma di quel pianto infido poco ei godrà. Custodi. Sifare a me.
[escono due guardie, ebe ricevuto l'ordine si ritirano]
Aspasia
che far pretendi? Ah Sire. Sifare...
Mitridate
Il so, m'è fido e forse meno arrossirai. se d'un malnato affetto potesse un figlio tal esser l' ogetto. Ma che tenti Farnace sin ripirmi la sposa, e che tu adori un empio ed un audace, che privo di virtù, senza rossore...(a Sifare, che giunge] Vieni, o figlio, è tradito il genitore.
Scena IV
Aspasia
Respiro, o Dei!-
Sifare
Signor, che avvenne?
Mitridate
Amante è il tuo german d'Aspasia , essa di lui. Tu la cui fè non scuote d'un german d'una madre il vile esempio, dalle trame d'un empio libera Mitridate, a quest'ingrata rammenta il suo dover, dille che tema d'irritar l'ire mie, che amor sprezzato può diventar furore in un momento, e che tardo sarebbe il pentimento.
No. 12 Aria
[a Sifare]
Tu, che fedel mi sei,
serbami, oh Dio! quel core:
[a Aspasia]
Tu, ingrata, i sdegni miei
lascia di cimentar.
[parte]
Scena V
Recitativo
Sifare
Che dirò? Che ascoltai? Numi! e fia vero, che sia di tanto sdegno sol Farnace cagion, perchè a te caro?
Aspasia
A me caro Farnace? A Mitridate, che del mio cor non penetrò l'arcano, perdon un tal sospetto, non a Sifare, no.
Sifare
Or qual è mai il rival fortunato?
Aspasia
Ancor nol sai? Dubiti ancor? Dì, chi pregai poc'anzi. Perchè mi fosse scudo contro un'ingiusta forza? E chi finora senza movermi asdegno di parlarmi d'amor, dimmi fu degno?
Sifare
Che intendo! Io dunque sono l'avventuroso reo?
Aspasia
Pur troppo, o Prence , mi seducesti, e mio malgrado ancora sento, che questo cor sempre t'adora. Da una legge tiranna costretta io tel celai, ma alfine.... Oh Dei! Che reca Arbate?
Scena VI
Arbate
Alla tua fede il padre, Sifare, applaude, e trattenendo il colpo che Farnace opprimea, nel campo etrambi chiama i figli ed Aspasia. Anche Ismene presente, spettatrice non vana a quel ch'io credo, si brama al gran congresso; il cenno è questo: recato io l'ho: da voi s'adempia il resto.
[parte]
Scena VII
Aspasia
Oh giorno di dolore!
Sifare
Oh momento fatale, che mi fa de'viventi il più felice, e'l più misero ancor? Che non tacesti, adorata Regina? Io t'avrei forse con più costanza in braccio mirata al genitor.
Aspasia
Deh non cerchiamo d'indebolirici inutilmente. Io tutto ciò, che m'impone il mio dover comprendo, ma di tua fede anche una prova attendo.
Sifare
Che puoi bramar?
Aspasia
Dagli occhi miei t'invola, non vedermi mai più.
Sifare
Crudel commando!
Aspasia
Neccesario però. troppo m'è nota la debolezza mia; forse maggiore di lei non è la mia virtù: potrebbe nel vederti talor fuggir dal seno un indegno sospiro, e l'alma poi verso l'unico e solo suo ben, da cui la vuol divisa il cielo, prender cosi furtivamente il volo. Misera qual orrore sarebbe il mio! Quale rimorso! E come potrei lavar macchia sì rea giammai se non col sangue mio! Deh se fu pura la fiamma tua, da un tal cimento, o caro, libera la mia gloria. Il duro passo ti costa, il so, ma questo passo, oh quanto anche a me costerà d'affanno e pianto!
Recitativo accompagnato
Sifare
Non più, regina, oh Dio! non più. Se vuoi Sifare ubbidiente, a questo segno tenera tanto ah non mostrarti a lui. Delle sventure altrui, del tuo cordoglio l'empia cagione io fui svelandoti il mio cor, portando al soglio del caro genitore l'insana smania d'un ingiusto amore. Ah perchè sul mio labbro, o sommi Dei, con fulmine improvviso annientar non sapeste i detti miei! Innocente morrei...
Aspasia
Sifare, e dove impeto sconsigliato ti trasporta? Che di più vuoi da me? Ritorna, oh Dio! alla ragion, se pur non mi vuoi morta.
Sifare
Ah no; perdon, errai. Ti lascio in seno all'inocenza tua. Da te m'involo, perchè tu vuoi così, perchè lo chiede la fede, il dover mio, la pace del tuo cor... Aspasia, addio.
No. 13 Aria
Lungi da te mio bene
se vuoi, ch'io porti il piede,
non rammentar le pene
che provi, o cara, in te.
Parto, mia bella , addio,
che se con te più resto
ogni dovere obblio
mi scordo ancor di me.
[si ritira]
Scena VIII
Recitativo accompagnato
Aspasia
Grazie ai Numi partì. Ma tu qual resti, sventurato mio cor! Ah giacchè fosti di pronunziar capace la sentenza crudel, siegui l'impresa, che ti dettò virtù. Scorda un oggetto per te fatal, rifletti alla tua gloria e assicura cosi la tua vittoria. Ingannata ch'io son! Tentar lo posso e tenterò poichè 'l prescrive, ahi lassa tanto giusto il dover, quanto inumano;ma lo sperar di conseguirlo è vano.
No. 14 Aria
Nel grave tormento,
che il seno m'opprime,
mancare già sento
la pace del cor.
Al fiero contrasto
resister non basto;
e strazia quest'alma
dovere ed amor.
Scena IX
Campo di Mitridate.Alla destra del teatro e sul davanti gran padiglione reale con sedili. Indietro folta selva ad esercito schierato ecc. Mitridate, Ismene ed Arbate, guardie reali vicino al padiglione, e soldati parti in faccia al medesimo.
Recitativo
Mitridate
Qui, dove la vendetta si prepara dell'Asia, o Principessa, meco seder ti piaccia.
[siedono Mitridate ed Ismene]
Ismene
A' cenni tuoi pronta ubbidisco. Ma Farnace?
Mitridate
Ancora, mercè di tue preghiere, pende indeciso il suo destino. Al cielo piacesse almen, ch'oltre un rivale in lui non trovassi un traditor!
Ismene
Che dici!
Mitridate
Forse pur troppo il ver. De' miei nemici ei mendica il favore per quel che intendo, ed ha Romano il cuore.
Ismene
Che possa, oh dei! Farnace d'attentato sì vil esser capace?
Mitridate
Tosto lo scorgerò. Vengano Arbate, i figli a me.
Scena X
Mitridate
Sedete, o Prenci, e m'ascoltate. [siedono Sifare e Farnace]
E troppo noto a voi Mitridate, per creder, ch'egli possa in ozio vile passar più giorni ed aspettar, che venga qui di nuovo a cercarlo il ferro ostile. Il terribile acciaro, riprendo, o figli.
E da quest'erme arene cinto d'armi, e di gloria l'onor m'affretto a vendicar del soglio, ma non già su Pompeo, sul Campidoglio.
Sifare
Sul Campidoglio?
Farnace
- Oh van consiglio!-
Mitridate
Ah forse cinta da inaccessibili difese Roma credete, o vi spaventa il lungo disastroso sentiero? All'Asia non manchi un Mitridate, ed essa il trovi, Farnace, in te. Sposo ad Ismene i regni difendi, e i doni suoi: passa l'Eufrate, combatti, e la sua sette colli ov'io eretto avrò felicemente il trono di tue vittorie a me poi giunga il suono.
Farnace
Ahi qual nemico nume si forsennata impresa può dettarti , o Signor?Ma quanta de'tuoi regni parte illesa riman! Questa piuttosto sia tua cura a serbar. Se t'allontani , chi fido resterà? Chi m'assicura del volubile Parto e come...
Sifare
È giusto che là donde le offese vengono a noi, della vendetta il peso vada a cader. Solo ti piaccia a men canuta etade affidarne la cura, e mentre in Asia la viltà di Farnace ti costringe a restar, cedi l'onore di trionfar sul tebro al mio valore.
Farnace
Vana speranza.A Roma siamo indarno nemici. Al tempo, o padre, con prudenza si serva, e se ti piace, si accetti, il dirò pur, l'offerta pace.
Mitridate
- Brami, Ismene di più? L'empio già quasi da se stesso si scopre.- E chi di questa è il lieto apportator?
Scena XI
Marzio
Signor , son io.
Mitridate
Cieli! Un Roman nel campo? [si alza impetuosamene dal sedere, e seco si alzano tutti]
Sifare
Ei con Farnace venne in Ninfea.
Mitridate
Ed io l'ignoro!
Arbate, si disarmi Farnace, e nel profondo della torre maggior, la pena attenda, dovuta a'suoi delitti.
[Arbate si fa consegnare la spada di Farnace]
Marzio
Almen...
Mitridate
Non odio chi un figlio mi sedusse. Onde venisti, temerario, ritorna. Il tuo supplicio sopendo sol, perchè narrar tu possa ciò che udisti e vedesti alla tua Roma.
Marzio
Io partirò; ma tuo malgrado in breve colei, che sordo sprezzi e m'invia, ritroverà di farsi udir la via. [parte]
Scena XII
Mitridate
Inclita Ismene, oh quanto arrossisco per te!
Ismene
Lascia il rossore a chi nel concepir sì reo disegno d'un tanto genitor si rese indegno.
No. 15 Aria
Ismene
So quanto a te dispiace
l'error d'un figlio ingrato:
ma pensa alla tua pace,
questa tu dei serbar.
Spettacolo novello
non è, se un arboscello
dal trono donde è nato
si vede tralignar.
[parte seguita da'suoi Parti]
Scena XIII
Recitativo
Farnace
Ah, giacchè son tradito, tutto si sveli omai. Per quel sembiante che fa purtroppo il mio maggior delitto ad oltraggiarti , o padre, sappi, che non fui solo. È a te rivale Sifare ancor, ma più fatal; che dove ripulse io sol trovai, sprezzi e rigore, e di me più gradito ottenne amore.
No.16 Aria
Farnace [a Mitridate]
Son reo; l'error confesso;
e degno del tuo sdegno
non chiedo a te pietà.
Ma reo di me peggiore
il tuo rivale è questo.
[accennando Sifare]
Che meritò l'amore
dalla fatal beltà.
Nel mio dolor funesto
gemere ancor tu dei;
ridere a danni miei
Sifare non potrà.
[parte dondotto via da Arbace e dalle guardie reali]
Scena XIVI
Recitativo
Sifare
E crerderai, Signor...
Mitridate
Saprò fra poco, quanto creder degg'io. Collà in disparte ad Aspasia, che viene, celati e taci. Violato il cenno, ambi vi renderà a degni di morte. Udisti?
Sifare
Udii. - Deh non tradirmi, o sorte.- [si nasconde dietro al padiglione).
Mitridate
Ecco, lìngrata. Ah seco l'arte s'adopri, e dal suo labbro il vero con l'inganno si tragga. Alfin, Regina, torno in me stesso, e con rossor ravviso, che il volerti mia sposa al mio stato, ed al tuo troppo disdice. Grave d'anni, infelice, fuggitivo e rammingo io più non sono che un ogetto funesto, e tu saresti, congiunta a Mitridate, sventurata per sempre. Ingiusto meno egli sia teco, e quando guerra e morte parte a cercar, con miglior consiglio per isposo ad Aspasia offra un suo figlio.
Sifare
- Che intesi!-
Aspasia
- Oh ciel!-
Mitridate
Non è Farnace: Invano vorresti unirti a quell'indegno e questa destra, che tanto amai per mio tormento, solo a Sifare io cedo.
Sifare
- Oh tradimento!-
Aspasia
Eh lascia di più affliggermi, o Sire. A Mitridate so, che fui destinata, e so ch'entrambi siamo in questo momento all'ara attesi. Vieni.
Mitridate
Lo veggo. Aspasia: a mio dispetto vuoi serbar per Farnace tutti gli affetti del cuore ingrato. E già l'odio, il disprezzo passò dal padre al figlio sventurato.
Aspasia
Io sprezzarlo , oh Signor?
Mitridate
Più non m'oppongo. La vergognosa fiamma siegui a nutrir; e mentre illustre morte in qualche del mondo angolo estremo vo' col figlio a cercar, col tuo Farnace tu qui servi ai Romani. Andiamo , io voglio di tanti tuoi rifiuti vendicarmi sul campo con darti io stesso in braccio a un vil ribelle.
Sifare
- Ah, seguisse a tacer, barbare stelle!-
Aspasia
Pria morirò.
Mitridate
Tu fingi invano.
Aspasia
Io, Sire? Mal mi conosci e poichè alfin non credo , che ingannarmi tu voglia...
Sifare
- Oh incauta!-
Aspasia
Apprendi, che per Farnace mai non s'accese il mio cor, che prima ancora di meritar l 'onor d'un regio sguardo quel tuo figlio fedel, quello che tanto perchè simile al padre, e a te diletto...
Marzio
L'amasti? Ed ei t'amava?
Aspasia
Ah fu l'affetto reciproco, o Signor... Ma che? Nel volto ti cangi di color?
Mitridate
Sifare
Aspasia
- Oh Dio! Sifare è qui? -
Sifare
[facendosi avanti]
Tutto è perduto.
Aspasia
[a Mitridate]
Io dunque fu tradita, o crudel?
Mitridate
Io solo son finora il tradito. Voi nella reggia, indegni, fra breve attendo. Ivi la mia vendetta render pria di partir saprò famosa colla strage de'figli e della sposa.
No. 17 Aria
Già pietà mi spoglio
anime ingrate, il seno:
per voi già sciolgo il freno,
perfidi al mio furor.
Padre ed amante offeso
voglio vendetta, e voglio
che opprima entrambi il peso
del giusto mio rigor.
[parte]
Scena XV
Recitativo
Aspasia
Sifare, per pietà stringi l'acciaro, e in me de' mali tuoi punisci di tua man la rea sorgente.
Sifare
Che dici, anima mia? N'e reo quel fato, che ingiusto mi presegue. Egli m'ha posto in ira al padre, ei mio rival lo rese, ed or l'indegna via di penetrar nell'altrui cor gli apprese.
Aspasia
Ah se innocente, o caro, mi ti mostra il tuo amor, non lascia almeno d'esser meco pietoso. Eccoti il petto, ferisci omai. Di Mitridate , oh Dio, si prevenga il furor.
Sifare
Col sangue mio, sol che Aspasia lo voglia, tutto si sazierà. Ah mia Regina, sappiti consigliare: a compiacerlo renditi pronta, o almen ti fingi: alfine pensa, ch'egli m'è padre; a lui giurando eterna fede ascendi il trono, e lascia che nella sorte sua barbara tanto sifare non ti costi altro che pianto.
Recitativo accompagnato
Aspasia
Io sposa di quel mostro, in cui spietato amore ci divide per sempre?
Sifare
E pur poch'anzi non parlavi così.
Aspasia
Tutta non m'era la sua barbaria ancor ben nota. Or come un tale sposo all'ara potrei seguir: Come accopiar la destra a una destra potrei tutta fumante del sangue, aimè, del trucidato amante? No, Sifare, perdona, io più nol posso e invan mel chiedi.
Sifare
E vuoi...
Aspasia
Sì, precederti a Dite. A me non manca per valicar quel passo e coraggio, ed ardir; ma non l'avrei per mirar del mio ben le angoscie estreme.
Sifare
No, mio bel cor, noi moriremo insieme.
No. 18 Duetto
Sifare
Se viver non degg'io,
se tu morir pur dei,
lascia, bell'idol mio,
ch'io mora almen con te.
Aspasia
Con questi accenti, oh Dio!
cresci gli affanni miei,
troppo tu vuoi, ben mio,
troppo tu chiedi a me.
Sifare
Dunque....
Aspasia
Deh taci.
Sifare
Oh Dei!
Aspasia, Sifare
Ah, che tu sol tu sei.
Che mi dividi il cor.
Barbare stelle ingrate,
ah, m'uccidesse adesso
l'eccesso del dolor!
ATTO III
Scena I
Orti pensili. Mitridate con guardie, e poi Aspasia con le bende del real diadema squarciate in mano, seguita dal Ismene.
Recitativo
Mitridate
Pera omai chi m'olgraggia, ed il mio sdegno più l'un figlio dall'altro di distinguer non curi. Vadasi, e a cader sia Sifare il primo...
Ahi, qual incontro!
Aspasia
[gettando via dispettosamente le bende suddette]
A terra, vani impacci del capo. Alla mia morte di strumento funesto giacchè nemmen servite, io vi calpesto.
Mitridate
Qual furor?
Ismene
Degno, o Sire, di chi libera nacque. I doni tuoi di rendersi fatali disperata tentò, ma i numi il laccio infransero pietosi. Ah se t'è cara la vita sua, se ancor tu serbi in seno qualche d'amor scintilla, un ira affrena, che forse troppo eccede e ciò, che invano per le vie del rigor tenti ottenere, l'ottenga la clemenza.
Mitridate
E che non feci , Principessa, finor?
Ismene
Nell'ardua impresa non stancarti sì presto. Fa ce il cupido amante la ravvisa da lei, non il regnante.
Mitridate
Quanto mi costa, o Dio, l'avvilirmi di nuovo! Ma il voui? Si faccia.
Ismene
Ah sì: d'esempio Ismene, Signor, ti serva. Io quell' oltraggio istesso che tu our soffri, e non pretendo con eccesso peggiore di vendicare il mio tradito amore.
No. 19 Aria
Tu sai per chi m'accese
quanto sopporto anch'io,
e pur l'affanno mio
non cangiasi in furor.
potrei punirlo, è vero,
ma tollerò le offese,
e ancora non dispero
di vincere quel cor.
[parte]
Scena II
Recitativo
Aspasia
Re crudel, Re spietato, ah lascia almeno ch'io ti scorga una volta sul labbro il ver. Non ingannarmi e parla: di Sifare che fu? Vittima forse del geloso tupo sdegno ei già spirò?
Mitridate
No, vive ancora, e poui assicurar, se'l brami, i giorni suoi.
Mitridate
Non abusando della mia sofferenza, alle mie brame mostrandoti cortese e nel tuo core quel ben, che mi si deve, a me rendendo. A tal patto io sospendo il corso all'ire mie. Del tutto, Aspasia, col don della tua destra deh vieni a disarmarle.
Aspasia
Invan tu speri, ch'io mi cangi, o Signor. Prieghi non curo e minacce non temo. Appien comprendo qual sarà il mio destin; ma nol paventa chi d'affrettarlo ardì.
Mitridate
Pensaci: ancora un momento a pentirti t'offre la mia pietà.
Aspasia
Di questa, o Sire, che inutile è per me, provi gli effetti l'innocente tuo figlio. Il tuo furore di me quanto gli aggrada omai risolva; ma perdendo chi è rea Sifare assolva.
Mitridate
Sifare? Ah scellerata! E vuoi ch'io creda fido a me chi ti piacque e chi tuttora occupa il tuo pensier? No, lo condanna la tua stessa pietà. Di mia vendetta teco vittima ei sia.
Scena III
Recitativo
Arbate
Mio Re, t'affretta o a salvarti, o a pugnar. Scesa sul lido l'oste romana in un momento in fuga le tue schiere ha rivolte, e a queste mura già reca orrido assalto.
Mitridate
Avete, o Numi, più fulmini per me? Alla difesa corrasi, Arbate. Del disastro mio tu non godrai, donna infedele: addio.
No. 20 Aria
Vado incontro al fato estremo,
crudo ciel, sorte spietata;
ma frattanto un'alma ingrata
l'ombra mia precederà.
[parte, seguito da Arbate e dalle guardie reali]
Scena IV
Recitativo
Aspasia
Lagrime intempestive, a che dal ciglio malgrado mi scendete ad innondarmi il sen? Di beolezza tempo or non è. Con più coraggio attenda il termine de'mali un infelice:
Già quell'ultimo addio tutto mi dice.
[viene un moro, il quale presenta ad Aspasia sopra una sottocoppa la tazza del veleno]
Recitativo accompagnato
Aspasia
Ah ben ne fui presaga! Il dono estremo di Mitridate ecco recato. O destra, temerai d'appressarti al fatal nappo tu, che ardita al collo mi porgesti le funi? Eh no, si prenda,
[Aspaisa prende in mano la tazza ed il moro si ritira]
e si ringrazi il donator. Per lui ritorno in libertà. Per lui poss'io dispor della mia sorte e nella tomba col fin della mia vita quella pace trovar, che m'è rapita.
No. 21 Cavatina
Pallid'ombre, che scorgete
dagli Elisi i mali miei,
deh pietose a me rendete
tutto il benm che già perdei.
Bevasi...
Aimè, qual gelo trattien la man?...
Qual barbara conturba idea la mente. In questo punto ah forse beve la morte sua Sifare ancora. Oh, immagine funesta! Fia dunque ver? No, l'innocenza i Numi ha sempre in suo favor. D'Eroe sì grande veglian tutti in difesa, e se v'è in cielo chi pur s'armi in suo danno, l' ire n'estinguerà questo, che in seno
sacro a Nemesi or verso atro veleno.
[in atto di bere]
Scena V
Recitativo
Sifare
Che fai, Regina?
Aspasia
Ah, sei pur salvo?
Sifare [gli loglie di mano la tazza e la getta per terra]
Aspasia
Non vedi, incauto, che più lungo il penar forse mi rendi, e nuovamente il genitore offendi?
Sifare
Serbisi Aspasia in vita, e poi del resto abbian cura gli Dei. Per tua custodia, finchè dura la pugna, vengano quegli armati.
Aspasia
E mi lasci così?
Sifare
Dover più sacro da te lontano, o cara, il tuo Sifare or chiama. A Mitridate accanto la roterò la spada, ei benchè ingiusto, ahi pur m'è padre! E se nol salvo ancora, tutto ho perduto, ed ho la vita a sdegno.
Aspasia
Oh di padre miglior figlio ben degno.
[parte seguita da soldati sudetti]
Scena VI
Recitativo
Sifare
Che mi val questa vita in cui goder non spero un momento di bene, in cui degg'io in eterno contrasto fra l'amore ondeggiar, e'l dover mio? Se ancor me la togliete,io vi son grato, o Dei.
Troppo compensa quei dì, ch'io perdo, il vanto di morire innocente e chi in sembianza può chiudergli d'Eroe visse abbastanza.
No. 22 Aria
Sifare
Se il rigor d'ingrata sorte
rende incerta la mi afede,
ah palesi almen la morte
di quest'alma il ben cando.
D'una vita io son già stanco
che m'espone al mondo in faccia
a dover l'indegna taccia
tollerar il traditor.
[si ritira]
Scena VII
Interno di torre corrispondente alle mura di Ninfea. Farnace incatenato e sedente sopra un sasso.
Recitativo
Farnace
Sorte crudel, stelle inimiche, i frutti son questi, che raccolgo da sì belle speranze? Io più regni primogenito erede siedo ad un sasso, e invece di calcar soglio ho la catena al piede? Oh cielo, qual odo, strepito d'armi... [vedesi aprire nel muro una gran breccia, per cui entra Marzio seguito da'suoi soldati).
A replicati colpi qual forza esterna i muri percosse ed or gli atterra! E'eogno io mio o vegliando vaneggio? Che più temer, che più sperar degg'io?
Scena VIII
Recitativo
Marzio
Teco i patti, o Farnace serba la fè Romana.
[viene sciolto Farnace e un Romano gli porge l'armi]
Farnace
Ah, Marzio, amico, invano io dunque non sperai...
Marzio
Dal campo in cui del tuo periglio, o prence, fui spettator, uscito appena un legno trovo al lido e v'ascendo. Arride il vento alle mie brame imapzianti. Al duce prima dell'armi, indi a'soldati io narro il fiero insulto, i rischi tuoi. Ne freme quel popolo d'eroi, chiede vendetta, e vola per Ninfea furibondo. Invan contrasta allo sbarco improvviso e il primo io sono la nota torre ad assalir. Fugati son dai merli i custodi e al grave urtar delle ferate travi crolla il muro, si fende, e un varco al fine m'apron libero a te quelle rovine.
Farnace
oh sempre in ogni impresa fortunato ed invitto genio roman! Ma il padre?
Marzio
O estinto, o vivo, sarà dall'armi nostre il più illustre trofeo. De'tuoi seguaci lo stuol disperso intanto salvo ti vegga e t'accompagni al trono, di cui Roma il suo amico oggi fa dono.
No. 23 Aria
Marzio
Se di regnar sei vago,
già pago è il tuo desìo,
e se vendettà vuoi
di tutti i torti tuoi
da te dipenderà.
Di chi ti volle oppresso
già la superbia è doma, mercè il valor di Roma
mercè quel fatto istesso
che ognor ti seguirà.
[parte col suo seguito]
Scena IX
Recitativo
Farnace
Vadasi...Oh, Ciel, ma dove dpingo l'ardito piè? Ah vi risento; o sacre di natura voci possenti, o fieri rimorsi del mio cor.Empio a tal segno, no, ch'io non son e a questo torno, Aspasia, Romani, io vi detesto.
No. 24 Aria
Già dagli occhi il velo è tolto,
vili affetti io v'abbandono:
son pentito, e non ascolto, che i latrati del mio cor.
Tempo è omai, che al primo impero
la ragione in me ritorni;
già ricalco il ben sentiero
della gloria e dell'onor.
[parte]
Scena X
Atrio terreno, corrispondente a gran cortile nella reggia di Ninfea, da cui si scorgono in lontano i navigli romani, che abbruciano sul mare. Nell'aprirsi della scena preceduto intanto dalle sue guardie, e portato sopra una spezie di occhio formato dall' intreccio di vari scudi si avanza Mitridate ferito. Gli vengono al fianco Sifare ed Arbate e lo siegue il rimanente delle milizie.
Mitridate
Figlio, amico, non più. La sorte mia dall'amor vostro esige altro che pianto. Se morte intempestiva tronca i disegni miei, se a Mitridate spirar più non è dato, come bramò dell'arsa Roma in seno, brando straniero almeno non ha l'onor del colpo. Ei cade estinto ma di sua mano, e vincitor, non vinto.
Sifare
Perchè, avverso destino, atto sì disperato prevenir non potei!
Mitridate
Per tempo ancora giungesti, o figlio. Hanno i miei sguardi estremi la tua fè rimirata e'l tuo valore. Per te prostrate al suolo giaccon l'aquile altere- Presso a cader poc'anzi del nemico in poter ebbi in orrore, che pria morir, che d'incontrarla elessi. Potessi almen, potessi egual premio a tant'opre...
Scena XI
Recitativo
Mitridate
Ah, vieni, o dolce, dell'amor mio tenero ogetto, e scopo di mie furie infelice. Ad esse il cielo non invan ti sotrasse, e puoi tu sola scontar gli obblighi miei. Scarsa mercede sarebbe a un figlio tal secretto e corona senza la destra tua. Dal grato padre l'abbia egli in dono, e possa eterno oblìo frattanto cancellar dai vostri cori la memoria crudel de'miei furori.
Aspasia
Vivi, o Signor, ed ad ambi almen conserva, se felice ne vuoi, il maggior d'ogni ben ne' giorni tuoi.
Mitridate
Già vissi, Aspasia. Omai provvedi, o figlio alla tua sicurezza.
Sifare
Ah lascia, o padre, che pria sul reo Farnace vada a punir...
Scena XII
Ismene con farnace che si getta a piedi di Mitridate e detti.
Recitativo
Ismene
Reo non si chiami, o Sire, chi reca illustri prove al regio piede del pentimento suo, della sua fede. Opra son di Farnace quegl'incendi, che miri. egli di Roma volse in danno quell'armi e quella libertà, ch'ebbe da lei, nè per tornare innanzi col bel nome di figlio al padre amato ebbe rossor di diventarle ingrato.
Mitridate
Numi, qual nuova è questa gioia per me! Sorgi, o Farnace, e vieni agli amplessi paterni. [si alza Farnace e baccia al padre la mano) Già rendo a te la tenerezza mia. Basta così: moro felice appieno. [vien portato dentro la scena]
No.25 Quintetto
Sifare, Aspasia, Farnace, Ismene, Arbate
Non si ceda al campidoglio,
si resista a quell'orgoglio,
che frenarsi ancor non sa.
Guerra sempre e non mai pace
da noi abbia un genio altero,
che pretende al mondo intero
d'involar la libertà.
FINE
copyright ItalianOPERA ©
|